Alle critiche sull'America del film di Lars von Trier, ieri ha risposto Wim Wenders, che agli States ha rivolto spesso la sua attenzione. Sul nuovo film del regista tedesco, Don't Come Knocking, scritto e interpretato da Sam Shepard e in concorso al festival di Cannes, la critica francese si è  trovata in contrasto. Lodi arrivano da Le Figaro: "Per una volta il regista si diverte attraverso la serietà, titilla il melodramma, fa lo sgambetto alla tragedi. C'è una scenografia splendida e impressionante, una fauna pittoresca che si agita attorno ad un melodramma che l'ironia trascende. Forse una visione dell'America, certamente una favola morale sull'umanità che cerca invano la propria  verità". E da L'Humanité: "La sceneggiatura è molto ricca, degna di un melodramma senza però adottarne le regole. Il regista lavora un campo che non è più determinato da Clint Eastwood, ovvero quello del grande cinema d'un tempo con un cast da sogno, impeccabili collaboratori tecnici, verità psicologica dei personaggi e la fede nel romanzesco che si appoggia al mito del cowboy solitario". Per Libération "il film è semplicemente insulso. Il paragone obbligatorio con Broken Flowers di Jarmush non serve nemmeno: laddove il newyorkese ha il genio della leggerezza, Wenders avanza invece con pesantezza. Sperpero estetico che rasenta la goffaggine, Don't Come Knocking è un gran momento di nulla". Sulla stessa lunghezza d'onda Le Parisien: "Questo nuovo Wenders è più una vetrina che un film. Ci si lascia cullare da questa macchina ben oliata, senza sorprese ma con straordinarie interpreti: Jessica Lange e Eva Marie Saint sono perfette". Disaccordo tra i quattro quotidiani anche per l'altro film in competizione di ieri, Free Zone di Amos Gitaï. Le Figaro: "Se ci sono dei momenti singolari e intensi dei personaggi, dei paesaggi, delle atmosfere, tutto ci arriva in frammenti senza che si capisca mai dove ci si trova. Gitaï realizza un film sofisticato e al tempo stesso una sorta di brutta copia, i cui propositi si perdono su strade avventurose". Per Libération "in un momento in cui la situazione di Israele e delle sue relazioni con i paesi confinanti reclamerebbe un minimo di precisione, Amos Gitaï si compiace sempre più in una sorta di vaghezza sperimentale che non è altro che una agitazione formale per nascondere il vuoto. Che un tale film sia stato selezionato lascia basiti". Di parere totalmente opposto L'Humanité: "Niente di semplicistico in Gitaï che con le immagini e le parole riesce a far nascere la complessità dei destini dei suoi protagonisti". Mentre Le Parisien scrive: "Testimoniare la realtà non significa essere necessariamente minimalista. Free Zone  è interessante solo perché mostra una volta ancora in che modo il mondo danza su di un vulcano". Sapzio sulla stampa anche per i film presentati nelle sezioni minori come Odete del portoghese Joao Pedro Rodrigues nella Quinzaine des Réalisateurs. Libération lo definisce "un film molto riuscito" e "con un tocco molto particolare nella costruzione dei personaggi". Positivo anche il giudizio su Grain in Ear del cinese Zhang Lu, che ha chiuso la  Semaine de la Critique: "Dà l'impressione di un roseto striminzito ma coraggioso, debole sotto il vento ma inespugnabile dal solo politico e poetico in cui ha messo radici". Lodi anche da Le Figaro: "Questo film è un grido in un opera punteggiata da silenzi, di quasi assenza di dialoghi. Il regista mostra quanto è difficile per le minoranze etniche trovare il proprio posto nella Repubblica Popolare. Un film che ha una dimensione politica e che svela aspetti della società raramente trattati dal cinema cinese".