"Spirito e immagine sono due temi affascinanti, che lo diventano ancor di più quando vengono messi insieme. Perché se della seconda abbiamo un'idea abbastanza precisa - avendone viste moltissime - lo spirito è più difficile da definire". Così Bruno Fornara, direttore artistico dell'Alba International Film Festival ha introdotto l'oggetto del dibattito tenutosi sabato nell'ambito della rassegna cuneese, a cui hanno partecipato Dario Edoardo Viganò (Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e Direttore della Rivista del Cinematografo), Pier Mario Mignone (dell'Associazione Progetto Infinity), Alfred Jokesch e Maguy Chailley (dalla Giuria ecumenica internazionale Signis). Il rapporto tra cinema e ricerca spirituale è il centro focale da cui prende vita ogni edizione della kermesse delle Langhe, ma anche uno degli aspetti da sempre più affascinanti della settima arte e del suo "statuto particolare", come lo definisce Fornara. Il cinema è in realtà "il buco di una serratura: introno all'immagine c'è tutto ciò che non vediamo e che dà luogo al lavoro dello spettatore". Qui ha inizio anche lo spirituale, "qualcosa di evanescente, di misteriosamente inafferrabile, che si avvicina al silenzio, al vuoto e alla rarefazione, in controtendenza rispetto alla vita contemporanea dove non conta tanto la presenza quanto la sovrabbondanza". All'interno dell'arte cinematografica, lo spirituale filmico tende dunque, come ha precisato Viganò, a identificarsi con "l'estroversità e l'eccedenza di uno sguardo". L'immagine filmica può essere "bulimica e idolatra", oppure suggerire "uno sguardo che deve farsi acuto per cogliere ciò a cui l'ombra e il segno fanno riferimento". Solo in questo secondo caso si può parlare di un cinema spirituale, che d'altra parte non coincide affatto con il mero film a tema religioso. Se il divino è "per definizione invisibile", ricorda Fornara, le sue tracce si possono trovare ovunque: "come dice il Vangelo, lo spirito soffia dove vuole", anche su film in apparenza molto fisici come Il matrimonio di Lorna - citato a tal proposito da Maguy Chailley - o in opere ancora più crude come quelle di Abel Ferrara. Secondo la tradizione cristiana, precisa Viganò "il divino si trova in modo costitutivo nella storia fangosa del carnale". Nel cinema, dunque, solo "l'enigma e il rimando" possono essere considerati la cifra distintiva di uno spirituale dal carattere evocativo, ospitato nelle pieghe nascoste del segno e rintracciabile solo "in quelle immagini che aprono varchi, e che squarciando i propri confini riescono a diventare paraboliche".