“Mi sono sempre sorpreso quando vedevo i bambini che cadendo per terra chiamavano la mamma. Non sono credente ma ho avuto un’educazione cattolica e mi sono detto che le religioni sono scritte da uomini per uomini. Con lo sceneggiatore abbiamo pensato allora a portare in primo piano un personaggio femminile, all’interno di una vicenda decisamente surreale”. Jaco Van Dormael presenta così la sua ultima fatica, Dio esiste e vive a Bruxelles (Le tout nouveau testament in originale), già accolta con successo alla scorsa Quinzaine des realiseateurs del Festival di Cannes, nelle nostre sale dal 26 novembre in circa 70 copie distribuita da I Wonder.

Quarto lungometraggio di una carriera cominciata con Totò le Heros (1990), seguita da Lumière et compagnie (1995), da L’ottavo giorno (1996) e Mr. Nobody (2009), Dio esiste e vive a Bruxelles è raccontato da Ea, ragazzina di 11 anni, che dichiara di essere figlia di Dio, odioso e antipatico e dedito a rendere miserabile l’esistenza degli uomini. Per uscire da una situazione insostenibile, Ea decide di usare il computer del padre inviando a tutti gli esseri umani un sms con la data della loro morte…

Nato a Bruxelles nel 1957, Van Dormael non può evitare quesiti su ciò che sta accadendo in questi giorni nella sua città. “Perché ambientare il film a Bruxelles? Abbiamo scritto il copione molto tempo fa. Viviamo in questa città, dove in effetti piove spesso, il tempo è grigio e l’atmosfera è tale da autorizzare la libertà di far veder giraffe che girano per le strade”. All’altra obiezione sulla scelta dell’argomento, risponde: “In realtà non volevo parlare in modo esplicito di religione, piuttosto dei meccanismi di potere che nascono come conseguenza di atteggiamenti straordinari.  Il film non vuole essere provocatorio ma cerca il tono della commedia.  La nostra utopia era quella di far ridere ma capisco bene che se la storia si fosse svolta a Teheran, io ora non sarei qui a raccontarla”.

Benoit Poelvoorde con il regista Jaco Van Dormael - Foto Pietro Coccia

Benoit Poelvoorde, protagonista nel ruolo di Dio, sulla paura di questi giorni afferma: “Sono vicino a tutti, e quello che accade è inesorabilmente trasmesso tutto in TV, quello che io chiamo il dito del diavolo. Il mondo di oggi vive un eccesso di visibilità dei sentimenti. Come attore mi riconosco necessità di presenza ma come persona mi impongo riserbo e faccio prevalere pensieri e riflessioni”. A proposito di citazioni e influssi di stile, il regista sottolinea: “Mi sono certamente rifatto al cinema sulfureo di Ferreri, ma c’è anche Fellini di cui sono il primo a non rendermi conto, e il bicchiere del latte spostato a tavola è una citazione esplicita di Tarkowsky”.