André Techiné porta in concorso a Berlino un film difficile, un dramma che ha al suo centro la difficile lotta contro l'Aids.
Les témoins, questo il titolo del film corale con Emmanuelle Béart, Michelle Blanc e Julie Depardieu, nasce come affresco in tre atti, in cui amori, frustrazioni e ossessioni dei protagonisti si intrecciano per raccontare la diffusione dell'Aids in Francia, a metà degli anni '80.
"L'urgenza di questo film - dice il regista - nasce da spinte molto intime e personali. Più che una testimonianza storica, viene dalla sensazione di essere scampato a un triste destino". Dichiarata finalità del film, è infatti proprio quella di far luce su un periodo, in cui l'impreparazione sociale e scientifica ad affrontare questo nuovo morbo, determinò una rapidissima diffusione dell'Hiv in tutto il mondo occidentale.
Le vicende sono ambientate fra l'82 e l'85. Anni in cui, come recitano le statistiche, la Francia era arrivata a registrare picchi di un nuovo contagio ogni giorno. Come rivela la traduzione, Les Témoins del titolo altro non sono che testimoni impotenti di questo fenomeno. Filo rosso dei loro destini, proprio la paura della morte e l'incapacità di affrontare l'Aids, che indirettamente viene a toccarli tutti: Sarah, la giovane mamma a cui presta il volto la Béart, è molto amica del noto immunologo interpretato da Michel Blanc. Non è però la relazione fra il marito Mehdi e il giovane Manu, con cui prima si accompagnava il medico, a mandare tutto in frantumi. La crisi scoppia col rapidissimo declino fisico del ragazzo. I sintomi parlano chiaro: si tratta di HIV e potrebbe aver contagiato anche Mehdi, la moglie e il loro bambino.
Proprio alla luce di delicatezza e serietà del tema trattato, a lasciare perplessi sono linguaggio e struttura a cui  Techiné si affida. I tre atti in cui si snoda la vicenda, a partire dalla gioiosa estate dell'82, sono contrappuntati da alleggerimenti che a tratti sfiorano il grottesco. "Non è una fuga consapevole dalla dimensione drammatica del film - spiega Techiné - Si tratta piuttosto del desiderio di spostare il fuoco emotivo della storia, anche su momenti e particolari più lievi". Alla "guerra" dell'inverno dell'85, come viene presentata sullo schermo la fase della malattia, segue poi la nuova "estate" con cui il regista chiude la storia. "La morte non è una conclusione - prosegue il regista, citando Fritz Lang -. Vivere è un miracolo in sé, ed è con il senso di questo miracolo, che ho voluto aprire e chiudere il film, aprendo nuove prospettive ai protagonisti e agli spettatori".