"E' un film sull'amore. E anche sull'illusione: quella che Cyril ostinatemente coltiva di poter tornare a vivere con suo padre": i fratelli Dardenne presentano così Le gamin au velo, col quale riprovano a vincere per la terza volta la Palma d'Oro a Cannes - ci sono riusciti nel 1999 con Rosetta e nel 2005 con L'enfant- tornando sui loro temi di sempre: la dignità umana offesa, la colpa e la redenzione, la difficoltà dei legami familiari.
Protagonista è anche stavolta un innocente (Thomas Doret), un ragazzino abbandonato dal padre che si ritroverà con un'altra madre (Cécile de France) e coinvolto in giri pericolosi. Prevale stavolta l'ottimismo: "Il personaggio di Cecile de France - dichiara Jean-Pierre - sente il bisogno innato di fare qualcosa per questo ragazzino. E' umana. Sente, alla fine, che deve salvarlo, ma non sa come fare".
Come sempre c'è molta realtà nei loro film: non solo perché di storie di abbandono in Belgio se ne sentono tanto, ma anche per come sanno radiografare situazioni e ambienti sociali: "Abbiamo parlato con una direttrice di un centro d'accoglienza per ragazzi - spiegano - che ci ha raccontato come i ragazzini che vivono in questi posti e che hanno ancora i genitori sono vittime quasi sempre di conflitti di lealtà". Cionostante I Dardenne vedono Gamin au velo più come una favola: "C'è un bosco, che è il luogo della tentazione; c'è un cattivo; e c'é Cyril, che è un po' un Pinocchio. Egli deve attraversare delle prove attraverso le quali perde tutte le sue illusioni fino a diventare saggio".