"Cerco un collegamento tra le immagini che non sia narrativo, ma emotivo ed empatico". Così il regista sloveno Jan Cvitkovic rivela la sua idea di cinema a Setubal, dove porta in concorso al Festroia il suo ultimo lungometraggio Gravehopping (Di tomba in tomba), già vincitore ex-aequo del Torino Film Festival 2005. Archeologo, romanziere, poeta e cineasta - "Sono differenti modi di esprimere la mia creativita'" -, Cvitkovic è uno dei registi sloveni più conosciuti nel panorama internazionale. Il suo primo film, Bread and Milk, presentato alla Mostra di Venezia nel 2001, ha vinto il Leone per il Futuro e sempre al Lido due anni dopo ha convinto con il cortometraggio The Heart Is a Piece of Meat. Minimo comune denominatore della sua filmografia è la ricerca di "un'atmosfera spirituale, lontana dalle religioni istituzionalizzate, ma contemporaneamente vicina a Dio". Citando Salinger nell'incipit di Gravehopping, il 39enne filmaker intende l'arte quale "prossimità a Dio, il che implica non temere la morte, bensì considerarla parte della nostra vita nell'universo". In Gravehopping, co-produzione croato-slovena che gli è valsa anche il Premio per il miglior giovane regista alla 53ma edizione del San Sebastian Film Festival, Cvitkovic racconta la quotidianità di un "professionista dell'elogio funebre", della sua famiglia e dei suoi amici, combinando humor nero, ironia surreale e musica pop e ripercorrendo vie già proprie al primo Kusturica. Ma Cvitkovic non è cinefilo, va raramente al cinema e considera la settima arte quale mezzo di espressione pari alla letteratura o all'archeologia: "Per me l'importante è veicolare attraverso le immagini urgenze personali e atmosfere spirituali: la classica struttura narrativa mi è indifferente". In quest'ottica il suo prossimo progetto cinematografico prenderà a riferimento le teorie di "peek-experience" (esperienze di vette mistiche) elaborate dallo psicologo americano Abraham Maslow: "Ho scritto alcune scene ispirandomi a questa comunione di sentire tra uomo, natura e Dio che poi cercherò di inserire in un plot". Per Gravehopping, il regista ha svolto un lungo lavoro con gli attori alla ricerca della giusta intensità "evitando un aprroccio moralistico e manicheo ai personaggi e lasciando spazio all'improvvisazione". Ne deriva un affresco corale, che rifugge i bozzettismi psicologici e le semplificazioni emotive utilizzando registri diversi per arrivare a una Gestalt poetica e visiva. Un Leitmotiv, che seppur in differenti accezioni, anima altre opere presentate nella sezione ufficiale di Festroia, quali What a Wonderful Place di Eyal Halfon, overview sulla situazione dei migranti nella contemporanea Israele, e Frozen Land di Aku Louhimies, sorta di Crash (di Paul Haggis) finlandese. Il mondo sta male - dicono all'unisono - ma la speranza non è morta.