"In the box è sicuramente un film di genere, ma cerca allo stesso tempo di parlare del nostro tempo e dei suoi incubi”. Antonia Liskova, attrice slovacca da molti anni attiva in Italia al cinema e in televisione e protagonista assoluta del lungometraggio d'esordio di Giacomo Lesina, non ha dubbi sulla potenza evocativa dei thriller: “L'orrore vissuto dal mio personaggio non è così lontano dal buio che circonda la nostra vita di tutti i giorni”.

Girato con un budget minimo e in lingua inglese, In the box racconta la storia di una giovane donna che si risveglia dentro un garage dal quale è impossibile uscire. Il motore di un'auto è acceso e ha pochissimo tempo per riuscire a salvarsi dal soffocamento. L'unico strumento con il quale può comunicare con l'esterno è un telefono cellulare molto difficile da localizzare e con poca batteria. Ad averla chiusa lì dentro è un uomo misterioso che sembra conoscere tutto della sua vita, del suo torbido passato, e soprattutto di ciò che ha di più caro al mondo: la piccola figlia Vanessa...

Con l'intenzione di un racconto a metà strada tra Saw e Buried, In the box punta al pubblico internazionale nonostante il bassissimo budget, come dimostra la partecipazione all'ultimo Courmayeur Noir in Festival.

“È importante che in Italia produttori e distributori tornino a scommettere su questo tipo di cinematografia - è l'opinione del produttore e scenografo del film Massimo Spano - altrimenti rischiamo di rimanere schiacciati tra i grandissimi film d'autore, come quelli di Moretti, Garrone e Sorrentino, non a caso tutti e tre in concorso al festival di Cannes, il più importante del mondo, e le commedie di tutti i tipi presenti nelle nostre sale. Un'industria cinematografica all'avanguardia sa dare il giusto spazio al cinema di genere”.

Giacomo Lesina dirige il suo primo lungometraggio di finzione dopo aver lavorato come aiuto regista, tra gli altri, di Luigi Comencini, Paul Schrader, Francesca Archibugi e Neri Parenti. “Il garage dove è chiusa la protagonista - racconta Lesina - è una metafora delle paure e dei mali del nostro tempo. È un loculo di cemento come una bara, è pieno del fumo dell'inquinamento che respiriamo tutti i giorni, mentre il telefono cellulare è uno strumento che non risolve nulla”.

Per Antonia Liskova “quel cellulare ci ricorda che, nonostante viviamo nell'epoca dei social network, ci ritroviamo ogni sera a cenare da soli con le nostre paure”.