In concorso al Med Film Festival l’opera prima del libanese George Peter Barbari dal titolo Death of Virgin, and the Sin of not Living, storia di quattro ragazzi pronti a perdere la verginità in un bordello.

Il film, già presentato alla 71. Berlinale nella sezione Panorama, prende spunto da un episodio autobiografico. “Tanti anni fa mi sono reso conto quanto il fatto di essere andato con una prostituta insieme a dei miei amici quando ero piccolo mi avesse traumatizzato- racconta il regista-. Avevo voglia di raccontare quello che mi era successo e tutte le motivazioni che mi avevano portato a farlo tra cui la pressione sociale e la chiusura sui temi sessuali. Mi sono sentito che non ero libero di esprimermi liberamente sui miei sentimenti e su quello che quest’episodio mi aveva provocato”.

Al centro anche il tema della mascolinità, un concetto sul quale il film si interroga. “E’ vero. Solo dopo mi sono reso conto che il mio film parlava di mascolinità. All’inizio volevo raccontare la mia esperienza privata e personale e basta. Ma questo film parla anche di un certo tipo di mascolinità che mi ha influenzato per tanti anni e contro la quale combatto. Lotto contro un certo tipo di virilità dominante”.

Ciò che caratterizza Death of Virgin, and the Sin of not Living è anche il racconto polifonico e l’uso delle voci interiori. Pochi dialoghi, tanti monologhi, del protagonista, interpretato da Etienne Assal, ma anche di tutti gli altri personaggi. “Ho voluto far emergere anche la storia della prostituta e far capire che questa donna non era solo il lavoro che faceva. È un personaggio sfaccettato, a tutto tondo, lei è anche una figlia e una madre. Mentre scrivevo la sceneggiatura mi sono reso conto che tutti i personaggi sono pieni di sfaccettature. Molte delle storie presenti si basano su esperienze reali che hanno vissuto gli attori. Ho voluto raccontare le loro paure, i loro sogni, le loro fragilità e le loro ambizioni”, dice il regista.

Infine sull’attuale situazione in Libano conclude: “La società libanese spesso resta in superficie senza andare in profondità e non scava certi temi. Stiamo attraversando una grave crisi economica e politica. Per anni abbiamo continuato a raccontarcela e a pensare che quella del Libano fosse una società ideale senza accorgerci invece che c’erano tantissimi problemi. È un po’ il discorso che ho fatto nel film. Tutti i problemi poi prima o poi sarebbero venuti a galla”.