Una storia da leggere nei fondi di caffè in concorso nella sezione Torino 30 del Torino Film Festival. Present Tense della regista Belmin Söylemez, racconta di Mina, ragazza malinconica e riservata, alla ricerca di un lavoro per le vie di Instanbul. Vive una fase molto delicata della propria esistenza: sola al mondo - si scoprirà poi che ha alle spalle un matrimonio finito male e una famiglia con cui ha interrotto i rapporti - e con la spada di Damocle di uno sfratto sulla testa, ha disperatamente bisogno di un'occupazione per mettere da parte i soldi necessari per fuggire in America e là, ricominciare una nuova vita.
Coglie dunque al volo l'occasione di lavorare in un locale come esperta di lettura di fondi di caffè (pratica antica e molto diffusa in Turchia alla quale viene data molta importanza e credibilità).
Compagna di “lettura” del locale gestito da Tayfun - uomo gentile, ma dalla vita piena di ombre - è Fazi, con la quale Mina instaurerà un rapporto ambiguo, giocato sui binari dell'amicizia, ma anche della mancanza di completa fiducia. Riuscirà Mina a partire per il Paese della speranza?
La Söylemez - qui al primo lungometraggio dopo molti corti e doc - ci offre un ritratto  intimo e delicato della protagonista, rimanendole sempre un passo dietro, e ci mostra alcuni aspetti della città e delle vite inquiete che l'attraversano. Non è un caso che il film sia cadenzato dall'inserimento di immagini sfuocate che ben rappresentano la mancanza di certezza che i protagonisti (e non solo) vivono in questi difficili anni di mutamenti economici e sociali. Si capisce meglio dunque il bisogno disperato di credere in qualcosa che possa dare più speranze di quanto faccia la vita.
Non importa se si ricerca il domani nei fondi di caffè, nelle carte, nell'oroscopo o in pietre della speranza sepolte nella terra in attesa di un verme che le scelga e le renda concrete, reali. Le donne a cui Mina legge delle proprie vite, accolgono con senso di liberazione le parole della veggente, anche quando ciò che viene rivelato loro non rappresenta né una novità né qualcosa di gradito. Ma una conferma, un suggerimento, un'avvertimento o un'esortazione ad andare avanti sono ciò di cui queste persone hanno bisogno, schiave come sono dell'immobilità delle proprie esistenze e della paura del cambiamento.
Anche se in fondo, la sequenza finale del film sembra dirci altro. Mina, indecisa se partire per l'America o rimanere e, magari, aprire un locale con Fazi, auto-interroga il proprio fondo di caffè: legge la tazzina e poi la la sciacqua, riportandola alla sua immacolata bianchezza. Una lavagna bianca su cui tentare di scrivere ciò che realmente vorrà.