1994, in Rwanda gli Hutu trucidano a colpi di arma da fuoco e macete circa un milione di Tutsi. Una storia che ricorda Auschwitz non solo per le terribili violenze tra etnie, ma soprattutto perché tutta questa ferocia è stata ignorata dal resto del mondo, che se ne è poi "interessato" successivamente, con sensi di colpa che arrivano sempre troppo tardi. Cristina Comencini ha voluto interrogarsi sulle ragioni del genocidio, prendendo come pretesto un viaggio che alcuni liceali di Roma hanno fatto alla volta di Kigali, accompagnati dal sindaco Walter Veltroni. Il risultato è il documentario Il nostro Rwanda, che la porta fuori concorso nella sezione Alice nella Città della Festa di Roma: "Il sindaco - spiega la regista - aveva organizzato un viaggio per gli studenti per inaugurare una scuola e un acquedotto e mi ha chiesto di seguirli per filmare le immagini". Immagini strazianti e rivelatrici, per fare luce su una realtà che molti di noi non conoscevano. Molti di quegli stessi ragazzi non avevano mai visto l'Africa e alcuni di loro addirittura mai preso un aereo. "Nessuno sapeva del Rwanda, neanche io", confessa la Comencini. Di questo minuscolo paese africano, dalla vegetazione rigogliosa ma straziato nel profondo, si conosceva soltanto la collocazione geografica. I viaggiatori si sono commossi, inorriditi davanti a realtà sconcertanti e senza apparente e giustificabile senso, hanno avuto modo di imparare le loro tradizioni, ballare insieme, sentirsi per un momento uguali nei loro destini così diversi. Un bel documentario a due mani, Cristina Comencini e Carlotta Cerquetti (già insieme nel 2002 per il documentario La fine è nota), diretto in questo caso al pubblico della sezione giovane della festa, che non può non toccare un adulto. Bambini senza colpe, uccisi, feriti, senza una famiglia da cui tornare. Già nel 2004 Hotel Rwanda aveva smosso la coscienza dell'opinione pubblica, mettendosi dalla parte della minoranza Tutsi e raccontandone il massacro da parte degli Hutu. Il nostro Rwanda, nel suo piccolo, contribuisce a non dimenticare: "Com'è successo che la politica non ha impedito la morte di migliaia di persone?" si chiede Cristina Comencini. Una domanda che coinvolge tutti e sembra purtroppo sembra destinata a rimanere senza risposta, come altri orrori della Storia. "E' una cultura lontana dalla nostra, ma mi è piaciuto parlare delle cose che abbiamo in comune. Come discutere con le donne sulla maternità, sul dolore per la perdita di un figlio". Fotogramma dopo fotogramma, il viaggio diventa comune, ed è un viaggio che apre la mente, entra nel cuore e lascia con tanti interrogativi e il senso di colpa per essersi voltati troppe volte dall'altra parte.