L'interrogativo è diretto e immediato:  “A cosa serve un critico?” . Il sottotitolo precisa: “Vita, morte e miracoli di una figura professionale in evoluzione (o in estinzione).  A parlare dell'argomento, il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) – Gruppo Lazio, ha convocato interessati e addetti ai lavori alla Casa del Cinema per una mattinata di confronto, “dopo un certo periodo di assenza dal dibattito su terreni che nel frattempo sono andati incontro a profondi cambiamenti “ ha ricordato in apertura Franco Montini, presidente SNCCI, dopo aver accolto anche le suggestioni offerte nel saluto iniziale da Giorgio Gosetti, direttore della Casa del Cinema (“10 anni fa – ha notato -  una domanda del genere non sarebbe stata possibile, mentre oggi arriva dopo un analogo interrogativo emerso a proposito dei festival. Il fatto è che oggi ha perso interesse la figura dell'opinion maker”). Strutturato su una serie di panel, l'incontro è cominciato con Alberto Anile che ha dialogato con Fabio Ferzetti, critico de Il Messaggero dal 1984. Con lui l'excursus ha riguardato la critica tradizionale cartacea su quotidiano, stretta soprattutto dalla progressiva riduzione degli spazi. Si è parlato di riferimenti critici (Serge Daney), delle nuove tecnologie che tendono a dominare anche quando non se ne avverte il bisogno, della pubblicità che ha dimostrato di sapersi inventare nuove forme di marketing.
Dal cartaceo al web, Paola Casella ha chiamato ad intervenire Marianna Cappi (Mymovies): "Non esiste uno specifico della critica web, e comunque il critico deve parlare di cinema"; Federico Pedroni (cineforum.it): "Non si costruisce autorevolezza sul web e la critica è più flessibile"; Federico Pontiggia (cinematografo.it: "Alcuni esempi, ovvero i giudizi dei dirigenti Sony su Angelina Jolie nel #SonyHack, ci dicono che il futuro della critica è nell'hackeraggio. Del resto, facciamo un lavoro che piace, e dobbiamo evidenziarlo promuovendo un Critic Pride, un orgoglio della critica". 
E'stata quindi la volta di due produttrici, Francesca Cima (“Il cinema non è più in crisi come trenta anni fa ma il problema è la confusione complessiva, escono troppi film”) e Laurentina Guidotti (“Il critico deve aiutare a coltivare un occhio diverso, promuovere una visione più forte”.A seguire, Emiliano Morreale, conservatore della Cineteca Nazionale, ha parlato di cinema e libri, e qui è stato toccato il tasto dolente della crisi editoriale con la tiratura media di un libro di cinema che arriva a 500 copie e può scendere fino a 50. Ma non solo critici e studiosi, a intervenire è anche Paolo Virzì, che ha ricordato il rapporto tra i suoi primi film e la critica: "Ho litigato ma ora non lo faccio più. Ero più aggressivo ora sono più tollerante. Non esiste ciò che non è narrato. Non esiste il cinema che non è narrato”. Gli ultimi interventi hanno riguardato Alberto Crespi (Hollywood Party), sulla la critica radiofonica, e Francesco Di Pace, per la Settimana della Critica alla Mostra di Venezia.L'elemento unificante è stato nella consapevolezza che è necessario riportare in primo piano la specializzazione, quella capacità di fidelizzare lo spettatore/lettore al critico che tropo spesso si perde tra nel genericità e nella superficialità  prevalente tra i media.