“Recy Taylor è una donna che non si vergogna, come viene detto nel film. Non ha paura di parlare, di denunciare quello che le è successo. È una combattente, non una vittima. Un personaggio resiliente che lotta per la sopravvivenza”.

La regista Nancy Buirski parla del suo ultimo documentario, The Rape of Recy Taylor, presentato a Venezia 74 in Orizzonti. Insieme a lei uno dei membri del cast, Crystal Feimster, docente di African American Studies all’università di Yale, che nel film appare tra le persone intervistate sulla vicenda di Recy.

“L’approccio di un regista è completamente diverso da quello di un ricercatore – ha commentato la Buirski in dialogo con la Feimster –. Entrambi hanno a che fare con delle storie, ma al cinema l’idea deve essere sostenuta da una narrazione, da una struttura formale che tenga conto di moltissimi aspetti”.

Il documentario ricostruisce la vicenda di Recy Taylor, una giovane donna di colore che venne stuprata da un gruppo di sei ragazzi bianchi nell’Alabama razzista del 1944. Contrariamente a quanto facevano le altre donne vittime di violenza, Recy denunciò gli stupratori e intraprese un lunghissimo percorso di giustizia per rivendicare i suoi diritti. Al suo fianco l’attivista Rosa Parks, la madre del movimento per i diritti civili, che si interessò al caso di Recy dieci anni prima del celebre boicottaggio degli autobus di Montgomery – la Parks si rifiutò di cedere il posto a un uomo bianco su un autobus e venne per questo arrestata.

Rosa Parks at Highlander Folk School

“Le attiviste svolsero un ruolo fondamentale in quegli anni. È importante raccontare di queste figure per mostrare alla gente che il cambiamento non si produce da solo, all’improvviso, ma parte dai casi singoli, come quelli di Recy Taylor e di Rosa Parks”.

Il racconto principale del film è affidato alle testimonianze del fratello e della sorella di Recy,  a cui  si alternano svariate interviste a studiosi, filmati d’archivio e scene dai cosiddetti race film (piccole produzioni cinematografiche indirizzante al pubblico afroamericano dell’epoca in cui emergeva chiaramente un atteggiamento predatorio dei bianchi nei confronti delle donne di colore).

“Nel fare questo film mi sono imposta di rispettare Recy Taylor, sotto tutti i punti di vista. Per questo la colonna sonora che accompagna il racconto dello stupro è una ninnananna”.

La regista ha dedicato il suo documentario a tutte quelle donne anonime che non sono riuscite a farsi ascoltare. Secondo la Buirski è importante conoscere il passato per comprendere meglio il nostro presente, un presente storico in cui purtroppo la sfera delle libertà femminili è ancora in discussione.