Jesse Owens non è stato solamente un black hero. È stato fonte d’ispirazione per molti, un eroe mondiale che ha dimostrato quanto nella vita conta ciò che sei e che cosa riesci a fare a prescindere dal tuo colore della pelle. Mettermi nei suoi panni è stata un’esperienza che mi ha cambiato profondamente”. Così Stephan James - nel Salone d'Onore del Coni a Roma - racconta la sua ultima fatica, quella che l’ha visto interpretare il grande olimpionico USA, Jesse Owens, che ai Giochi di Berlino nel 1936, sotto gli occhi di Hitler e Goebbels, portò a casa quattro ori.

Diretto da Stephen Hopkins, Race – Il colore della vittoria – nelle sale italiane il prossimo 31 marzo, distribuito da Eagle Pictures in 200 copie – racconta appunto la storia di James Cleveland “Jesse” Owens, del suo arrivo all’Ohio University, del rapporto con il coach Larry Snyder (Jason Sudeikis) e della sua straordinaria impresa alle Olimpiadi di Berlino. Giochi che il Comitato Olimpico Americano, fino all’ultimo, non sapeva se boicottare o meno in segno di protesta contro le politiche antisemite di Hitler. La stessa America che, proprio in quegli anni successivi alla Grande Depressione, ancora faceva i conti con le forti tensioni razziali presenti al suo interno.

“Ed è una questione – spiega il giornalista e storyteller sportivo Federico Buffa (dallo scorso anno in scena a teatro con Le Olimpiadi del ‘36 e nel film voce italiana di un radiocronista dell’epoca) -  che nel film viene sottolineata con forza. Poi certo, l’operazione tiene conto di esigenze produttive che la portano ad interrompersi subito dopo i Giochi. Ma quello che più volte la secondogenita di Owens, Marlene, ha voluto ricordare è quanto accadde con il presidente americano Roosevelt, che non si congratulò mai con Jesse per la sua impresa. E parliamo di un atleta, Owens, che l’anno precedente, nel 1935, in 45 minuti riuscì a battere 4 record mondiali. Un uomo che, ancora oggi, così tanti anni dopo, con i suoi tempi e numeri avrebbe potuto qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino nel 2008”.

Federico Buffa e Stephan James - Foto Pietro Coccia

Un film che, in sintesi, racconta una volta di più quanto lo sport possa essere lo strumento più forte per combattere qualsiasi forma di razzismo e favorire l’integrazione: “Jesse Owens dimostrò che chiunque, di qualunque razza e provenendo da qualsiasi contesto, può essere migliore degli altri. È un messaggio che dal ’36 a oggi è ancora valido, in termini di integrazione non solo razziale, ma anche sociale ed economica, in termini di fair play e rispetto”, dice Fiona May, ex atleta due volte campionessa mondiale di salto in lungo, due volte medaglia d’argento olimpica, detentrice del record italiano sia outdoor che indoor: “Questo è un film importante – aggiunge Fiona May – perché ricorda una volta di più quanto lo sport debba essere aperto a tutti, a dispetto delle possibilità sociali o economiche delle persone. E ricorda anche quanto lo sport, il rispetto e l’amicizia siano valori che vanno di pari passo, come nella sequenza in cui il rivale tedesco di Owens al salto in lungo, Luz Long, lo aiutò proprio durante la finale olimpica a stabilire il suo record mondiale”.

Fiona May - Foto Pietro Coccia

Race, nella duplice accezione anglosassone di “corsa, gara” e “razza”, dunque: “Ed è la sintesi perfetta del film – dice ancora Buffa – che ripropone una storia vissuta attraverso la grandezza di quell'atleta in un periodo così pieno di contraddizioni negli States”. Perché, come ricorda Stephan James, “nel 1936 Owens si trovava in un America ancora permeata dalla segregazione razziale. Oggi non siamo certo nella stessa situazione, anche se ancora dobbiamo registrare episodi non certo piacevoli. Quello che conta è che ci accorgiamo che non è possibile tornare indietro. Soprattutto per quello che persone come Owens hanno contribuito a cambiare, ed è estremamente importante che si continui a raccontare storie come queste”.

Storie che, per quanto riguarda lo sport, il cinema USA di sicuro continuerà a raccontare. Si pensi a Zona d’ombra (Concussion), film che da noi arriverà il 21 aprile, tratto dalla storia vera del neuropatologo nigeriano Bennet Omalu (Will Smith) che, per primo, scoprì le terribili conseguenze sul cervello umano in seguito ai frequenti traumi cranici nel football americano. La curiosa coincidenza vuole che lì troveremo Flavio Tranquillo (telecronista che insieme a Buffa per anni ha raccontato le partite NBA in Italia) a prestare la voce ad un telecronista dell’ESPN.  “Le coincidenze? Sono le uniche certezze che abbiamo”, il commento di Federico Buffa.