Alice nella città, in questa nuova edizione della Festa, non ha certo fatto una scelta semplice. Portare un pubblico giovane a vedere film che per i temi trattati richiedono un ragionamento da fare in più e ad aprire dibattiti infiniti, poteva dimostrarsi un buco nell'acqua, invece, tranne casi sporadici di chi la sensibilità non la avrà neanche da adulto, la scelta si è dimostrata vincente. E' il caso, tra gli altri, di And when did you last see your father?, regia di Anand Tucker, che vede tra gli attori un sempre in forma Colin Firth e una futura grande stella Matthew Beard. Tratto dall'autobiografia di Blake Morrison (stesso nome che tiene il personaggio di Colin Firth), è la storia di un padre ed un figlio, un concetto che ha attraversato già tanti altri film e che può far parte di ciascuno di noi, una pellicola "soggettiva", che ognuno nel vedere reagirà emotivamente in maniera diversa sulla base del vissuto che lo accompagna. In questo caso si parla di un padre carismatico, sopra le righe e farfallone con tanto di prova di un consumato adulterio e di un figlio più introverso, riservato, che spesso si è trovato in aperto contrasto con il genitore.
Si parte dai nostri giorni, da un momento drammatico, la morte di questo padre che coincide anche con la "resa dei conti", il chiarire tutto ciò che è rimasto in sospeso, il dire tutto ciò che non è stato detto, il riflettere su quello che non è stato fatto. Una riflessione che lo porta a ripercorrere il passato,  in particolare l'adolescenza con le prime scoperte (Blake adolescente è Matthew Beard), il momento in cui solitamente un figlio scopre una sorta di competizione con il genitore, critica a volte ingiustamente il suo modo di fare, comincia a capire cos'è la vita pur rimanendo in un limbo tra l'essere bambini e l'età adulta sentendosi spesso minacciato dalla figura paterna.
Blake è diventato un adulto decisamente "abbottonato", apparentemente arido ed insensibile al dolore che sta vivendo per tornare "umano" quando  passato e presente si fondono in un unico momento, il momento di ricordarsi quando ha visto per l'ultima volta il padre (in attività e non malato) e allora solo allora il pianto arriverà liberatorio per farli scoprire che quell'uomo, quel padre,  gli mancherà immensamente, soprattutto gli mancheranno quei suoi difetti che ha tanto odiato.
"Conosco bene Blake Morrison - dice Colin Firth (parlando per altro un italiano invidiabile!) - è tra i miei preferiti, ho letto il suo libro, ma mai avrei pensato che potesse diventare un film. Le pagine sono incentrate non tanto sul dialogo ma sulle parole non dette, sull'incapacità di esprimersi dei protagonisti". "La difficoltà di dialogo padre figlio è universale - aggiunge Matthew Beard - non è specifico di nessuna generazione, questo è il racconto di un adolescente degli anni '60, ma la difficoltà è universale e senza tempo". A chi chiede a Colin Firth come si è trovato a recitare un ruolo così e se preferisce il genere commedia, ironico risponde. "Sono conosciuto per il romanticone, ma questo genere di film mi interessa di più, anche se non so che genere possa considerarsi!". Già, in effetti, chi l'ha detto che un film deve per forza e forzatura ricadere in un determinato genere?