Forse aveva ragione Jean Renoir: "E' osceno pensare di mettere in competizione diversi film, fare un confronto tra opere ognuna con la propria individualità". Lo ricordava proprio l'altro giorno il più anziano dei registi in Concorso, Monte Hellman, al quale la giuria presieduta da Quentin Tarantino non dimentica di assegnare un Leone Speciale perché "la sua opera è stata di ispirazione a questa giuria per cui è per noi un onore rendergli onore". Aggirato così l'imbarazzo di non poter premiare il proprio maestro, Tarantino (e con lui la giuria) ha sorpreso un po' tutti lasciando fuori dal palmares i 13 Assassins di Takashi Miike, "stupendo" però ancor di più con l'assegnazione del Leone d'Oro, vinto dalla sua ex Sofia Coppola per Somewhere, già in sala in Italia dal 3 settembre con Medusa e un primo box office (intorno ai 400.000 euro) non proprio confortante. Intendiamoci, il quarto titolo americano vincente in sei edizioni della Mostra (Lussuria di Ang Lee era coprodotto dagli USA) non è brutto, ma di gran lunga meno "sorprendente" di almeno altri tre, quattro titoli in gara, completamente dimenticati dal palmares.
Sarà per questo, probabilmente, che all'annuncio della vittoria, sia in Sala Grande che in Sala stampa, gli applausi si mischiavano ai fischi. Che fine hanno fatto, ad esempio, il devastante Post Mortem di Pablo Larrain, lo straordinario western nell'antico ma rivoluzionario 1:37 di Kelly Reichardt Meek's Cutoff, l'indispensabile The Ditch del cinese Wang Bing, il bellissimo, seppur controverso, Venus noire di Abdel Kechiche? L'unico, tra i meritevoli ma dimenticati, a cui è stato concesso il "contentino" è Silent Souls del russo Aleksei Fedorchenko, premiato con l'Osella per la migliore fotografia.
La sensazione più lampante, allora, è che se fosse stato per lui, per Tarantino, Balada triste de trompeta di Alex de la Iglesia - non a caso tra i film più estremi (e furbi...) della Mostra, acclamato e detestato nella stessa misura - avrebbe vinto tutto (oltre al Leone d'Argento e l'Osella per la sceneggiatura): "costretto" a spartire i premi, deciso più che mai a stravolgere un regolamento considerato "stupido" (quello che alla Mostra vieta il cumulo dei premi maggiori) assegna Coppa Volpi (a Vincent Gallo, ancora una volta lontano dalla ribalta, di sicuro sempre al Lido, forse ad un tavolo della trattoria "Al cicchetto", dove pranza e cena da una settimana...) e Premio della Giuria ad Essential Killing di Skolimowski, "un grande film muscolare, non un film d'arte". Proprio per questo, allora, continua a rimanere incomprensibile la scelta del premio più importante, il Leone d'Oro a Somewhere, seppur "arrivata all'unanimità" come lo stesso Tarantino ha tenuto a precisare ancora prima di annunciare il vincitore. Che abbia ancora una volta prevalso la logica di potere? Non lo sappiamo, non ci interessa, ma continuiamo a credere che sarebbe il caso di iniziare a pensare ad una "Mostra d'Arte Cinematografica" senza vincitori né vinti, che punti a dare risalto ad ottimi film seppur senza grandi distribuzioni alle spalle, e premiare - come avvenuto in molte occasioni in questa 67. edizione - solo ed esclusivamente lo spettatore. Che dovunque andrà, somewhere, porterà con sé il ricordo di quanto visto, un po' meno le onorificenze attribuite da altri.