Se ci chiediamo chi è Giulietta Masina, siamo subito sopraffatti dalle tante e diverse risposte che corrispondono ai volti cangianti e contraddittori con cui l'attrice è apparsa sullo schermo in una ideale passerella scandita dalle note struggenti di Nino Rota.
Sì, certo, è anzitutto la stupefatta Gelsomina di La strada (1954) che il bestione Zampanò compra per diecimila lire dalla poverissima famiglia di contadini per farla esibire assieme a lui nelle piazze in cui porta il suo scalcinato spettacolino di forzuto girovago. Ma è anche la candida prostituta di buon cuore che intravista per un attimo in Lo sceicco bianco (1952) e la protagonista assoluta di Le notti di Cabiria (1957).
Nonostante la sfortuna sembri accanirsi su di lei, non perde mai l'incrollabile ottimismo dell'ingenuità neppure quando Oscar, il suo fidanzato così perbene, è pronto a impadronirsi a ogni costo dei suoi risparmi. “Ammazzami,ammazzami”, gli dice lei dopo che in riva al lago il dettaglio dei suoi occhi spenti e minacciosi le ha drammaticamente rivelato le sue intenzioni. Come dimenticare poi la signora borghese in crisi di Giulietta degli spiriti (1965) che moderna Alice attraversa lo specchio dei sogni e dei tradimenti, delle stravaganze e delle fantasie per rivelare il suo cuore irriducibile di donna-bambina?

Scomparsa vent'anni fa, pochi mesi dopo la morte di Federico, ha interpretato con alterna fortuna poco più di una ventina di titoli di altri registi, dopo il prestigioso apprendistato radiofonico e teatrale presto abbandonato per incarnare tutta la vita il ruolo della Signora Fellini, che le è riuscito benissimo nonostante o forse proprio per le insanabili diversità tra lei e il Grande Bugiardo, tra la pratica concretezza di chi ha i piedi ben piantati per terra e la sfrenata immaginazione di chi sembra deciso a sfuggire a ogni ancoraggio troppo sicuro e verificabile. Mentre la donna ostenta il Buon Senso come una corazza, l'attrice è più immediata e aggressiva.
Chi come Federico crede nell'astrologia spiega tutto con il segno dei Pesci e la loro ambiguità. Fastosa sperimentazione del colore che preannuncia la stagione di mezzo del regista, Giulietta degli spiriti non convince fino in fondo anche per l'evidente estraneità dell'interprete nei confronti del personaggio impostole dall'autore. Questa volta si sarebbe sottratta volentieri al ricatto di Fellini che le impresta i propri ricordi e le proprie ossessioni, come lei stessa ripete sempre ai giornalisti che le chiedono di spiegargli il significato di Gelsomina: “Ma Gelsomina è Fellini. Anche Zampanò e il Matto sono Fellini!”.

Girato in inverno tra Fiumicino, Ovindoli, i Castelli Romani, La strada è stata fatta con pochi soldi e gli abili accorgimenti di una tipica troupe italiana dell'epoca, aiutata dal misero circo degli Zamperla, poi molto attivi nel peplum e nello spaghetti-western. Se il film divide in due la sala grande della Mostra di Venezia, metà tifava per Fellini e l'altra metà per Senso di Visconti, all'estero è un trionfo. A New York come a Tokyo, a Londra come a Parigi, l'entusiasmo per il film e la sua protagonista non ha limiti, fino all'Oscar per il miglior film straniero, con cui Giulietta comincia la raccolta dei premi che a lei e a Federico piovono addosso da ogni parte del mondo.
Nell'autobiografia per interposta persona dell'artista mago, La strada sembra stare tutto dalla parte del regista. Scava a fondo nei miti personali dell'autore che affida il suo io più segreto all'immagine clownesca di una femminilità astratta, lunare, asessuata. Ma paradossalmente è proprio questa immagine che in un singolare gioco di specchi impone l'attrice paragonata addirittura a Charlot, quasi una bestemmia fino a che lo stesso Chaplin non dichiara: “È l'attrice che ammiro di più”.

Il film che sente più suo è Le notti di Cabiria, quello in cui la donna e l'interprete si ritrovano e si riconciliano in sequenze straordinarie, dall'inizio sulla spiaggia in cui tentano di affogarla ai rapporti con le colleghe che la prendono in giro, dall'incontro con il divo Nazzari che la umilia alla trance nel palcoscenico dell'avanspettacolo, via via, fino al pellegrinaggio al Divino Amore. Qui tra incantesimi, magie, visioni e trasparenze, è Giulietta che, per esplicita ammissione dell'interessato, prende Federico per mano e lo porta in zone in cui da solo non sarebbe mai arrivato. L'interprete sarà consacrata dalla Palma di Cannes, mentre al film andrà l'Oscar.

Nei vent'anni che separano Giulietta degli spiriti da Ginger e Fred (1985), si è defilata come attrice, ha tenuto una rubrica di corrispondenze con i lettori su “La Stampa”, ha interpretato due serial televisivi di grande successo. Ma Ginger, la piccola borghese con il cappellino, la camicia col fiocco, la mantellina a quadretti, si impadronisce di prepotenza della scena per l'ultimo appuntamento, prima che le mitiche immagini dello schermo siano inghiottite per sempre dalla dilagante volgarità televisiva. Quando Giulietta Masina e Marcello Mastroianni si rincontrano dopo trent'anni sembrano due sfocate silhouette del tempo che fu, lei ormai estranea ai sogni d'arte del passato, arroccata nella sicurezza economica senza slanci, lui entrato con la bottiglia in mano nella zona d'ombra dei sopraffatti dalla vita. Ma basta che il mellifluo Fabrizi li annunci, si accenni il motivo musicale di Piovani che rifà Rota, muovano i primi passi sullo sfondo dei grattacieli e la magia del cinema compie un'altra volta uno dei suoi miracoli fatti di tenerezza. Strepitosi Marcello e Giulietta che almeno per un attimo riescono a ricordarci gli inimitabili Fred Astaire e Ginger Rogers.