“Gassmann, con due enne. Una volta, quando mio padre non era ancora famoso, un tizio sul un set lo chiamò Sgama: decise subito di togliere dal cognome almeno la consonante finale cosciente che già la doppia esse avrebbe creato problemi. Ce l'ho rimessa perché voglio riappropriarmi delle radici della mia famiglia, essere fiero di ogni sua componente. Ho una parte ebraica, mia nonna paterna si chiamava Ambron ma sotto il fascismo fu costretta a mimetizzarlo sotto un più neutro Ambrosi. Ora basta, mi piace l'idea di vivere in un paese dove nessuno si deve più vergognare del proprio cognome”. Parte all'attacco Alessandro Gassmann, protagonista assoluto di un incontro curato da Franco Montini nell'ambito di una serie di focus su attrici e attori italiani che sono uno dei punti di forza del Bif&st. Intorno a lui, all'entrata e all'uscita, una ressa di ragazze adoranti che la dice lunga su quanto questo ragazzo di quarantotto anni eserciti fascino e presa sul pubblico femminile. Colpa, o merito, di un calendario osé fatto nel pieno dello splendore che non rinnega neanche un po'. “Perché dovrei – precisa ridendo –, non credo di aver osato nulla di così sconvolgente. Lo rifarei di sicuro, anche perché con i soldi ricevuti mi sono comprato casa. Diverso sarebbe avesse ostacolato la mia carriera, ma fortunatamente non è successo. Anzi, proprio dopo quel calendario mi sono arrivate le proposte più interessanti come il ruolo in Caos calmo che mi ha fatto vincere moltissimi premi”. Avrebbe avuto la parte se Moretti avesse saputo? Gassmann confessa che il grande Nanni lo ha scoperto da lui: “Durante le pause tra una scena e l'altra si avvicinavano tante persone a chiederci gli autografi, soprattutto donne, e in larga parte si rivolgevano a me. Nanni non si capacitava, voleva capire, così gli ho raccontato del calendario. Lì per lì non ha commentato, la mattina dopo però si è presentato esibendone una copia in mano e da quel giorno prima per lui e poi per tutti sono diventato Mister tartaruga”.
Bello lo è senza dubbio, ma negli anni ha saputo prendere le distanze dalla mera bellezza e dedicarsi al mestiere con passione e studio affrancandosi dalla pesante eredità del padre Vittorio. “Potevo restare per sempre il figlio di, ma non mi interessava – ricorda. Ho appena scritto un'autobiografia che si intitola “Sbagliando l'ordine delle cose”, ecco se le avessi sbagliate veramente avrei dovuto chiamarla “Più raccomandato di così si muore”. Invece il titolo si riferisce a quella stagione triste ma anche emozionante della vita in cui a un certo punto ti ritrovi padre o madre dei tuoi stessi genitori. Sono stato un figlio ribelle, solo col tempo ho riscoperto i valori della famiglia. Ma se non avessi fatto così non avrei trovato la mia strada. All'inizio ho anche fatto il modello pur di mantenermi e camminare con le mie gambe, non volevo si potesse dire che vivevo all'ombra di un padre che pure stimavo e adoravo. Esperienze fondamentali, che mi hanno portato oggi a dirigere il Teatro Stabile del Veneto e a poter scegliere in piena libertà i film da interpretare”.
I venti anni di cammino lo hanno recentemente condotto anche dietro la macchina da presa. Un debutto fortemente voluto, quello con Razza bastarda, tratto dallo spettacolo teatrale “Roman e il suo cucciolo” che Gassmann ha portato in scena per tre anni. “Accarezzavo il sogno sin dalla seconda stagione di repliche – spiega -, ero convinto che la storia del gruppo di rom rumeni protagonisti della pièce fosse perfetta per il cinema. Non è stato facile trovare i soldi perché un progetto che vede in primo piano dei rom non attira certo gli investitori, ma alla fine ce l'abbiamo fatta. Invece il cinema dovrebbe affrontare più spesso certe tematiche scomode, non possiamo far finta che la nostra non sia una società in cui convivono razze diverse. I rumeni in Italia sono 1.600.000, credo basti riflettere su questa cifra per capire che mischiarsi sarà inevitabile. Del resto anche il popolo italiano così come è oggi è frutto di commistioni avvenute in passato, per questo siamo bellocci”.
Consapevole del potere che gli deriva dal successo e dall'ammirazione del pubblico, Alessandro Gassmann non si tira indietro quando c'è da sostenere la cultura. Allora mostra una coscienza politica che non riconosce ai nostri governanti: “Dov'era il tecnico della cultura nello sbandierato governo tecnico? Tutti a dire che con la cultura non si va avanti, hai voglia a ricordargli che in America il cinema è la seconda industria. Sento la mancanza di interlocutori veri, persone che oltre ad essere manager conoscano dall'interno la macchina culturale. Speriamo in un reale e veloce rinnovamento, perché il futuro è più nero del già oscuro presente”.