"Una preveggenza mostruosa". E' questo il punto di forza de I viceré per il regista Roberto Faenza, che porta sullo schermo il romanzo di Federico De Roberto a oltre 100 anni dalla sua edizione, datata 1894. Innumerevoli le difficoltà che avevano fino a oggi sconfessato i tentativi di riduzione (ci aveva provato invano, anche, Roberto Rossellini): accanto alla svalutazione coeva dell'opera di De Robertis, che in Benedetto Croce trovò un feroce stroncatore, pesano fattori intrinseci, di forma (densità narrativa, struttura corale a incastro) e, soprattutto, di contenuto: anticonformismo, triplice attacco istituzionale: Stato, Chiesa e Famiglia, e, paradossalmente, la modernità delle pagine derobertiane. "La cultura laica - osserva Faenza - non è mai stata capace di difendersi, nessun critico di sinistra ha mai sostenuto e rivalutato De Roberto: quando la sinistra sale al potere diventa un po' destra". Mutatis mutandis, anche sull'adattamento di Faenza (a lato, foto Pietro Coccia) sono piovute polemiche, a partire dall'esclusione dalla Festa del Cinema di Roma "esclusivamente - si leggeva nel comunicato stampa della kermesse capitolina - per ragioni artistiche" che ha suscitato più di una perplessità sui mass media. Se Faenza ironicamente si dice dispiaciuto che queste dichiarazioni siano arrivate fuori tempo massimo "se no le avrei inserite nel finale del film", per la produttrice Elda Ferri "un festival ha il diritto di selezionare in totale indipendenza, e la stampa di esprimere i propri pareri al riguardo. Per chiudere questa polemica, che non serve né alla Festa né al film, solo la direttrice della sezione Premiere Piera Detassis ha visto I viceré in una versione non definitiva, gli altri direttori hanno disertato tutte le proiezioni organizzate ad hoc". Archiviata la querelle, per Faenza "un film ovvio non è mai un libro, qui il cuore è l'istituto della sopraffazione, che dalla famiglia - alcova di tutti i mali, per citare Freud - si allarga alla Chiesa, al Parlamento e alla società". Ritratto della famiglia Uzeda in interno siculo ottocentesco con il pater familias Lando Buzzanca (Principe Giacomo), Alessandro Preziosi (Consalvo), Cristiana Capotondi (Teresa) e Guido Caprino (Giovannino), I viceré offrono nel comizio finale, apoteosi del cerchiobottismo politico, pronunciato da Consalvo "la possibilità - affonda sarcastico Preziosi - di capire da dove nasce il Partito Democratico". "Consalvo mi ha molto colpito - prosegue l'attore - ho cercato di disegnarvi qualcosa di buono, a differenza delle ceneri italiane di oggi. Nulla è cambiato rispetto a quel comizio: chiediamoci a che cosa è dovuto arrivare questo ragazzo per entrare in società? Se il romanzo di De Roberto non fosse stato dimenticato a partire dalla scuola, oggi avremmo un rapporto molto più vero e risolutivo con la Storia". "Faenza - ribatte Lando Buzzanca - mi aveva parlato di un personaggio shakespeariano, aggiungendo che avrei dovuto far dimenticare Lancaster: potete immaginare la mia paura. Inoltre, la superstizione, l'avidità, la cultura e la politica dell'odio del Principe Giacomo non fanno parte di me, non è stata un'interpretazione facile". "Il mio personaggio - prosegue la Capotondi - cammina sul filo del bene e del male: un tema filosofico dalle implicazioni quotidiane per me molto interessante". Già in cantiere con il sostegno del Ministero il progetto di portare I viceré nelle scuole, per Faenza "il film è molto distante dalla versione estesa per la tv: montaggio, ottiche, persino le interpretazioni divergono sostanzialmente, in ossequio alla difformità di linguaggio tra grande  e piccolo schermo". "Faccio solo film di speranza - conclude il regista - se no uno esce dalla sala e si suicida: Non sono pessimista sul nostro futuro, questa radiografia impietosa è un atto d'amore per l'Italia".