“È un documentario che si può collocare tra quelli che sono i Covid movie, ma non è un film sulla pandemia”. A parlare è Elia Moutamid regista di Kufid, nelle sale dal 17 giugno grazie a Cineclub Internazionale Distribuzione.

Presentato in anteprima alla trentottesima edizione del Torino Film Festival, il film è stato girato durante i primi mesi della pandemia, in parte a Brescia e in parte a Fès in Marocco, e affronta vari argomenti dall’urbanizzazione alla gentrificazione fino all’integrazione e ovviamente il Covid.

Inizialmente Moutamid era andato in Marocco per un sopralluogo perché voleva girare un doc sui fenomeni urbanistici. Poi è tornato in Italia ed è scoppiata la pandemia. Tutti fermi e tutti a casa.

“Vorrei che lo spettatore si identificasse nelle varie dinamiche che ho raccontato: religiose, politiche e così via. All’inizio della pandemia imperavano gli slogan retorici. Si diceva: torneremo più forti di prima. Questo anziché rassicurarmi non faceva altro che generare in me delle grandi perplessità”, dice il regista marocchino (nato a Fés e cresciuto a Rovato, comune in provincia di Brescia in Lombardia). E sulle sue origini specifica: “Sono figlio di migranti della prima ora. All’epoca i migranti erano una curiosità assoluta più che un problema. Mio padre vendeva biancheria e in due anni è diventato un imprenditore”.

Con Talien, il suo primo lungometraggio, aveva raccontato attraverso la chiave del road movie il suo passato familiare ricordando al pubblico italiano come eravamo fino a pochi decenni fa. Qui il suo primo intento è stato quello di raccontare al pubblico italiano la trasformazione urbana.

“In Kufid ci sono immagini della pianura padana quasi deserta, testimonianza del capitalismo che c’è stato, e poi tante immagini girate a Fès, prima della pandemia, in contesti che si sono svuotati. La mia città natale era in piena gentrificazione in quel periodo”, dice Elia Moutamid, che alla fine ha usato il Covid per raccontare le sue contraddizioni.

Sul Covid dice: “Mio fratello lo ha preso e questo ha accentuato il mio stato di ansia in quel periodo. Mi sono sentito umanamente limitato perché non potevo andarlo a trovare. Brescia e Bergamo sono state le città più colpite d’Italia. Si sentivano in continuazione le sirene delle ambulanze e c’erano elicotteri ovunque”.

Ma ne siamo usciti veramente più forti da questa pandemia? “Spero che non si torni più forti di prima, ma che torniamo migliori”, conclude.