La linea di confine tra la gloria e l'infamia non è mai stata così sottile. Emitt Rhodes era all'apice del successo negli anni settanta. Prima come fondatore e leader dei Merry-Go-Round, band americana che spopolava in piena beatles-mania (seconda metà anni '60), poi da solista, con l'etichetta ABC/Dunhill, grazie alla quale riesce a incidere e pubblicare tre album, tutti registrati nel garage di casa. Poi dal 1974 il silenzio. Come se quel promettente ragazzo con la faccia pulita e la voce simile a quella di Paul Mccartney, fosse stato inghiottito da un feroce buco nero. Che fine ha fatto? Com'è vissuto negli ultimi 35 anni? Dove ha abitato? Cosimo Messeri - ex assistente alla regia di Nanni Moretti e Carlo Mazzacurati, e già autore del lungometraggio Detesto l'elettronica Stop (2008) - è andato a scovarlo nei dintorni di Los Angeles, a Hawthorne. Lì è nato The One Man Beatles, il documentario prodotto da Angelo Barbagallo e Carlo Mazzacurati, in cartellone nella sezione Extra/L'Altro Cinema del Festival di Roma. "L'ho trovato sull'elenco telefonico", ammette il regista, che degli album di Rhodes è collezionista. "Non si è dato alla macchia, non è diventato un gelataio né é mai stato il prestanome di McCartney, come qualcuno ha sostenuto, ma si è ritirato nel garage di casa dove ha continuato a suonare e scrivere canzoni per sè". L'esilio di Rhodes è dovuto tra l'altro a un contenzioso di 300.000 dollari con la casa discografica che ha prodotto i suoi LP: nel 1970 l'artista americano firma un contratto che lo impegna a incidere 6 album in tre anni ("Una follia", la definisce il producer Keith Olsen). Ma malato di perfezionismo, riesce a portarne a termine solo tre. "Si sentiva tradito dall'industria, aveva subito diverse traversie familiari e il suo carattere timido, vulnerabile, gli aveva impedito di imporsi come avrebbe potuto", spiega Messeri. Che quasi un mese ha trascorso con lui, scoprendo una persona "molto riservata, depressa, senza relazioni sociali e sostenuta dal Prozac". Più che l'agiografia di una popstar dimenticata, The One Man Beatles è un flash dentro l'anima di un loser, scavata a partire dai primi piani e i silenzi, le rughe e i goffi gesti. Una sofferenza (Rhodes ha alle spalle tra l'altro due matrimoni fallimentari e tre figli di cui ha completamente perso le tracce) contenuta nello scantinato di casa, tra strumentazioni vintage e spartiti impolverati, ricordi e rimpianti, a cui fa da contraltare una lucida e disincantata ironia. Che si apre alla fine su qualcosa di più grande: ritrovare , alla soglia dei 60 anni, il gusto della compagnia e delle jazz session. Le immagini finali di questo bel documentario - che alterna le testimonianze di chi l'ha conosciuto (ci sono anche le mitiche The Bangles, anche loro scomparse dalla scena da qualche anno), filmati di repertorio e riprese col vero Emitt Rhodes - sono anche le più commoventi. Ingrassato e leggermente piegato dagli anni, la vecchia pop star ritrova i membri dei Merry-Go-Round per incidere le canzoni scritte all'epoca dell'oblio. Riascoltare la sua voce in sala registrazione lo mette ancora in imbarazzo, tanto che Rhodes sente il bisogno di uscire. A Messeri sarebbe bastato chiudere su questo gesto dalla timidezza disarmante per capire come e perché l'artista abbia scelto il totale anonimato. Ma fortunatamente stavolta la pop-star (e il documentarista) ha scelto un altro finale.