Un thriller, con la stoffa del dramma, che racconti la crisi finanziaria del 2008 dall'interno del ciclone non può che svolgersi a New York, Wall Street, negli uffici di una importante banca d'investimenti. Il regista JC Chandor, con l'opera prima Margin Call in concorso alla Berlinale, prudentemente onora questa logica obbligata. Sui tempi del racconto, invece, si discosta dai bei Wall Street di Oliver Stone, ne è anzi  speculare.
Anche Margin Call ci mostra ciò che l'avidità fa con gli uomini, ma non, come in Stone, in forma di allegoria universale. Piuttosto, gioco da camera, condensato in due giorni e una lunghissima notte. Un dramma a orologeria perché mette a fuoco l'obiettivo sulle drammatiche 24 ore che precedono il collasso in un'importante banca d'affari esiziale per il sistema economico globale. Leggi Lehman Brothers.  Il New York Times ha scritto del film: Gordon Gekko, (il personaggio interpretato da Michael Douglas nei film di Stone) incontra Jack Bauer, (l'eroe cui Kiefer Sutherland dà il volto nella serie televisiva americana 24).
Il giovane analista Peter Sullivan (il bravo Zachary Quinto), dopo aver visionato qualche  documento di troppo, realizza  che le analisi su cui si basano gli affari  della banca sono sbagliate, o falsificate. Un impero è sull'orlo dell'abisso. Durante la notte mette al corrente della sua scoperta i colleghi più vicini, l'esperto di borsa Sam Rogers (Kevin Spacey), l'analista rischi Sarah Robertson (Demi Moore), il boss Jared Cohen (Jeremy Irons), che uno dopo l'altro accorrono per salvare la loro banca, e la vita. Che il tema sia (ancora) caldo al cinema lo dice il fatto che JC Chandor non ha fatto alcuno sforzo a mettere insieme un cast di prim'ordine. Kevin Spacey e Stanley Tucci hanno addirittura trascorso un mese negli uffici della Citigroup a Manhattan per capirne di più prima delle riprese.
Dice il regista: “A settembre del 2008 è morto il sogno americano di un'economia fondata sulla finanza”. Sogno che ha incantato il mondo. “Ma ho cercato di non fare un film storico, sarebbe stato troppo presto. Per questo ho ristretto il campo sulle vite di un pugno di colleghi affiatati, di uomini e donne che si ritrovano nel mezzo della deflagrazione della più grande catastrofe economica  da settanta anni a questa parte, senza rendersene conto”.
Margin Call racconta l'abisso dove ci siamo fermati (per ora) appena due anni fa, senza istrionismi, né melodramma, con una camera agile, un cast  di classe e uno script veloce e intelligente. Al buon cinema d'intrattenimento non si può chiedere di più. Ancora meglio se quello che ha da dire lo dice a chiare lettere. Come Jeremy Irons sintetizza bene a margine della conferenza stampa. È convinto l'attore che l'America supererà la prova solo se la morale rientrerà al centro del dibattito pubblico, del sentire comune: “Non si può non pensare alla gente cui è stata tolta la casa. D'altra parte, il folle consumo degli ultimi venticinque anni non esisterà mai più”.
Ma, precisa, Margin Call non è un film solo contro le banche d'affari: “È il sistema, nella sua interezza, che va cambiato. Se non ora, quando?”.