Ci sono diversi tipi di animali: quelli che non sanno di essere osservati, quelli che osservano a loro volta e quelli che si nascondono per non essere osservati. Gli uomini non vanno lontano: la curiosità li spinge a esplorare la natura, la necessità a cercare un rifugio, l'immaginazione a sognare che uno zoo possa diventare un luogo magico. Accade a Lana, bambina dimenticata dal padre nel suggestivo parco di Jakarta e cresciuta dai guardiani del posto, dalle loro storie su tigri e scimmiette che l'accompagnano verso l'età adulta. E' una foresta incantata lo zoo dell'indonesiano Edwin, regista di The Blind Pig Who Wants to Fly e in questo caso un po' entomologo, in concorso alla Berlinale, finanziato in parte dal Torino FilmLab. E' uno spazio immenso, di ritrovo e di abbandono, un paradiso perduto. Inevitabile che un giorno la pacifica convivenza tra volontari, vagabondi e personale finisca e ognuno debba trovare un'altra casa. Per Lana (la bella Ladya Cheryl), allevata tra fiabe e giraffe, è un girovogare alla ricerca di un'identità impossibile da ritrovare. Sulla sua strada si materializza un mago cowboy, gioca con lei, le fa provare l'ebrezza della donna tagliata in due, dell'illusione di gabbare la sorte, ma come è arrivato sparisce e il sogno diventa una sedicente spa con massaggi erotici. Se la cava bene, come se non avesse fatto altro prima, complice la purezza del luogo in cui è cresciuta. La sua realtà appartiene a quel mondo incontaminato, il resto è un insieme di voci e volti confuso. Ci si perde volentieri nei boschi dello zoo di Edwin, irresistibile a un primo sguardo, ragione di vita per chi c'è stato più a lungo. A volte si gira un po' a vuoto, il regista fedele alle sue cartoline dallo zoo. Ma il viaggio vale la visione, e nonostante le intermittenze narrative, la fascinazione vince sulla coerenza.