"Faccio questi film da 20 anni. Sono un essere umano, e sono stanco. Soprattutto di non vedere risultati positivi immediati. Non può essere tutto sulle mie spalle, o su quelle di Barack Obama: la gente deve svegliarsi, si deve alzare, incominciare a partecipare massicciamente. Non posso e non voglio bruciarmi, soprattutto non da solo. In futuro farò film di finzione, magari anche altri documentari, perché sono convinto che posso raccontare storie di questo tipo anche attraverso lungometraggi di fiction". Michael Moore sbarca al Lido per presentare il suo Capitalism: A Love Story, questa sera in Concorso, e conferma - anche al di fuori dello schermo - quanto affermato alla fine del suo documentario, atto d'accusa nei confronti di un sistema terribilmente malato, che garantisce ricchezza al solo 1% della popolazione USA, sprofondando nel baratro la restante, stragrande maggioranza delle persone: "Capisco che per voi europei l'analisi del capitalismo che propongo può sembrare semplicistica - ribadisce Moore - ma era l'unico modo che avevo per arrivare al popolo americano, soprattutto quando si parla del piano di salvataggio di Wall Street, qualcosa che dovrebbero capire anche i bambini di undici anni. E comunque ritengo che sia utile anche per voi sapere come io vedo gli Stati Uniti, anche perché quello che succede lì ha conseguenze a livello planetario".
Ideale chiusura di un cerchio aperto nel 1988 da Roger & Me,  Capitalism - accolto trionfalmente dalla stampa sia ieri sera che questa mattina - sferra il suo attacco alle corporation e ai banchieri, ma non dimentica naturalmente le alte sfere del potere politico, tanto i repubblicani quanto i democratici: "La cosa divertente è che in passato i deputati, quando mi vedevano, scappavano - racconta ridendo Moore - e invece adesso sembra quasi mi vengano a cercare: questo è il primo effetto del cambiamento portato dall'elezione di Obama, ma spero che alcuni di questi, dopo aver visto il film, ricomincino a scappare". Da sempre oppositore del governo Bush, apertamente schierato al fianco di Barack Obama, Michael Moore non fa mistero attraverso il suo film che proprio la Goldman Sachs (una delle più influenti banche d'affari nel mondo, "obiettivo" numero uno del documentarista) ha contribuito al finanziamento della campagna elettorale del nuovo Presidente degli Stati Uniti: "Gli hanno dato un milione di euro (e non 17 come riportato erroneamente nel film, ndr), è vero, ed è giusto che lo sappiano tutti. E voglio che anche Obama sappia che ne siamo al corrente, perché il fatto di averlo eletto non esclude la nostra volontà di osservare da vicino tutto quello che farà: è un uomo libero, magari con questa mossa hanno pensato di 'possederlo', ma non credo che alla fine ci riusciranno...".
Come sempre spietato e al tempo stesso ironico, Capitalism guarda con nostalgia alla figura del Presidente Roosevelt, morto troppo presto per riuscire a realizzare il suo sogno: "I concetti di uguaglianza, giustizia propugnati dal socialismo - ribadisce Moore - sono gli stessi di cui parlavano Thomas Jefferson e, un po' prima di lui, Gesù Cristo: Marx, che Dio l'abbia in gloria, non si era inventato nulla di nuovo". E per quanto riguarda gli aspetti più pessimistici (14.000 posti di lavoro persi ogni giorno, migliaia di famiglie costrette ad abbandonare la propria casa...) dell'attuale panorama descritto nel film, il regista confida "nella consueta forza di volontà del popolo americano: nel corso degli anni abbiamo dimostrato di saper fare l'impossibile, abbiamo questo spirito alla Superman, mandiamo uomini sulla Luna, portiamo un afroamericano alla Casa Bianca pur essendo ancora oggi un paese dove il razzismo è prevalente. Voi, in Italia, riuscireste ad immaginare un Presidente del Consiglio, seppure cittadino italiano, ma di sangue etiope?... Berlusconi? Possibile che chiunque incontri mi dica di non averlo votato? Capisco che l'argomento è imbarazzante, e capisco anche perché molti mi chiedano di venire da voi a fare un documentario: purtroppo non ho il tempo, ma per fortuna a parlare di queste cose già ci pensano personaggi come Benigni e Sabina Guzzanti".