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“La nostra società odierna non può essere descritta senza guardare quello che succede sui social”. A parlare è Laurent Cantet, regista Palma d’Oro al Festival di Cannes con La classe (2008), che ha presentato nell’ambito di Rendez Vous il suo nuovo film: Arthur Rambo - Il blogger maledetto, in uscita nelle sale italiane il 28 aprile distribuito da Kitchen Film.
Al centro vi è la storia di Karim, un giovane scrittore militante, interpretato dall’attore franco-algerino Rabah Nait Oufella.
“La storia è vera. Ho conosciuto questo giovane diciassettenne- dice Cantet-. Avevo letto i suoi articoli su vari blog. Veniva dalla banlieue, aveva scritto due libri e faceva delle cronache in radio ogni mattina. Insomma mi sembrava uno che aveva una testa interessante e che era capace di parlare di un film, di una mostra o di politica. Io non sono sui social e quindi non conoscevo la sua attività sui social. Un giorno ho scoperto dalla stampa dei tweet inammissibili che aveva scritto in parallelo a questa vita pubblica che conoscevo già. Mi girava la testa, e mi domandai: come può coabitare nella stessa persona tutto questo?”.
“Non è un biopic però”, specifica poi il regista che nel suo film ha voluto raccontare la parabola di questo ragazzo dall’apoteosi del suo successo alla sua caduta, concentrandosi nell’arco di due giornate.
“Karim è un ragazzo che ha vissuto le banlieue e che piano piano si è conquistato un posto nella società- prosegue-. Ha comunque tanta rabbia dentro di sé e questo spiega in parte i suoi tweet feroci. Mi interessa l’itinerario di questo giovane che è riuscito a sfuggire alla divisione del mondo e a cambiare la sua classe sociale. Ci sono sempre più passaggi di classe. Ma queste persone, prevalentemente immigrati, rimangono comunque molto sorvegliate in Francia e non gli viene mai perdonato nulla”.
Quindi siamo ancora lontani da un’integrazione? “Il film mostra anche i rapporti di Karim con sua madre- risponde-. Lei è arrivata molti anni prima dall’Algeria e per lei era essenziale essere invisibile. Era una necessità per potersi integrare nella società. I giovani di oggi pensano invece che il posto che gli viene rifiutato sia legittimo e spesso esprimono questo concetto con una grande rabbia perché è l’unico modo che gli viene lasciato”.