Ha diviso la critica. Gli stranieri hanno apprezzato, gli italiani meno. E la cosa ha infastidito non poco Paolo Sorrentino & Co., sbarcati sulla Croisette per la presentazione alla stampa de La grande bellezza (che esce oggi in Italia), quinto film del regista napoletano - quinto anche a partecipare al Festival di Cannes - e quarta collaborazione con Toni Servillo: “Quattro doni”, preferisce chiamarli l'attore.
”Mi pento quasi di aver nobilitato i giornalisti di casa”, chiosa con ironia Sorrentino, ma tanto basta a registrarne la stizza. La nobilitazione era passata da Jep Gambardella, cinico e disincantato reporter napoletano, un romanzo all'attivo (L'apparato umano) e una vita a Roma, dove si è tuffato nella mondanità tanto da diventare “il re dei mondani”. “Jep, non riuscendo a fare al pari di Flaubert, il grande romanzo sul niente ha continuato a scrivere vivendo”. Servillo dixit.
Il problema è che il grande nulla della capitale, il nulla raccolto in fondo alle feste, alle performance, all'arte-fuffa, al pari di quella bellezza vagheggiata, inseguita, mai afferrata (Servillo, citando Soldati, dice: “La bellezza quando la vedi scompare”), finisce che non rimane. Non ti lascia nulla. Né nella memoria, né sulla pelle. Tutto luccica e si scrosta e scompare in questo grande mosaico del nostro tempo, questo “mosaico fatto di tutte le ossessioni del presente, da quella per la decadenza al misticismo”, lo definisce Carlo Verdone per la prima volta diretto da Paolo Sorrentino. Un mosaico che a molti ha fatto pensare a La dolce vita di Fellini, ma il regista precisa: “Quella era un'Italia diversa, ancora sotto gli effetti dopanti del dopoguerra e del boom. E il film di Fellini un capolavoro”. E aggiunge Servillo: “E' come se quella balaustra dove si era mollmente poggiato Fellini per guardare Roma, fosse sparita. Così Paolo ci è caduto dentro”.
Sorrentino non vuole che del suo film si dica che è una rappresentazione dell'attualità, nonostante Servillo stesso suggerisca una lettura di questo tipo inquadrando Jep, il protagonista, “come l'incarnazione di tutte le occasioni perdute”. Ma il regista replica: “Dieci anni fa avrei fatto lo stesso film e credo che l'aspetto legato alle feste, al fenomeno cafonal, sia solo uno dei tenti percorsi del film. Il tema è, e resta, la grande bellezza”. Il che spiega anche perchè non ci sia spazio per la politica: “Se ne parla già abbastanza”. E di Roma cosa resta? “Una città che mi affascina ancora tanto”.Ma allora che cos'è la grande bellezza che il titolo chiama in causa? Pe Verdone non ci sono dubbi, “la grande bellezza è la gioventù” e il tono malinconico del film dipende “dalla consapevolezza nitida di averla perduta”. Per la Ferilli la grande bellezza “è la vita, in tutti i suoi colori e questo film la esprime tutta”. Servillo crede che la bellezza sia “nascosta da qualche parte il fondo all'apparato umano, tra tanta bruttezza”.Sorrentino preferisce che ciascun spettatore scelga la risposta che vuole mentre l'ultima parola la mette la santa, alias Giusi Merli: “La bellezza è una cosa feroce. Non tutti possono afferrarla”.Speriamo che almeno Spielberg e gli altri giurati ne colgano un pezzettino. L'appuntamento è alle sette con la proiezione ufficiale, subito dopo la montée des marches. Poi tutti a festeggiare a Villa Oxyegen, in un party esclusivo organizzato da Pathe e Disaronno poco fuori Cannes.Cafoni rigorosamente ammessi.