"Ho avuto un colpo di fulmine, un innamoramento del romanzo di Gioacchino Criaco. Talmente forte che mi ha portato ad abbandonare il progetto su cui stavo lavorando. Mi ha colpito la carica emozionale, viscerale, sprigionata dal libro. E mi ha portato in un mondo che non conoscevo, grazie al suo sguardo interno sull'Aspromonte, sguardo però attento a non esaltare mai la violenza, capace di raccontare il crimine senza mai distanziarne gli aspetti dolorosi". Francesco Munzi racconta qual è stata la scintilla che l'ha portato a realizzare Anime nere, oggi in concorso a Venezia71 (dal 18 settembre in sala con Good Films), opera che prende spunto dal romanzo omonimo di Criaco (dal 17 settembre di nuovo in libreria con Rubbettino) e che si sofferma sulle "dinamiche di una famiglia vicina alla 'ndrangheta in seguito ad una faida con un clan rivale", spiega ancora il regista.

Che dopo Saimir e Il resto della notte, sposta le sue attenzioni sulla Calabria. Tre fratelli, figli di pastori: il più giovane, Luigi (Marco Leonardi), è un trafficante internazionale di droga. Rocco (Peppino Mazzotta), ormai da molti anni a Milano, è uno stimato imprenditore grazie ai soldi sporchi del primo. Infine Luciano (Fabrizio Ferracane), il più grande, che è rimasto nella terra natia e porta avanti il lavoro paterno, coltivando per sé l'illusione patologica di una Calabria preindustriale. Suo figlio, il ventenne Leo (Giuseppe Fumo), è la generazione perduta, senza identità. E sarà proprio un suo gesto sconsiderato, un atto intimidatorio contro un bar protetto da un clan rivale, a scatenare un inferno. Dopo tanti anni dall'uccisione del padre, per Luciano si riaffaccia nuovamente il dramma...

"Fare questo film è stata occasione di scoperta - dice Munzi -, e la soddisfazione più grande è quella di essere riuscito a girare in un posto (Africo, ndr) dove chiunque mi diceva che non si poteva fare nulla di buono: l'approccio diretto alla realtà si discosta molto spesso da quello che siamo abituati a leggere dalle cronache". Un film, Anime nere, che porta in superficie la profondità e la complessità di un territorio dove si mescolano miti e leggende, criminalità e tradizioni, fantasmi e violenza: "Io sono di Locri - racconta Marco Leonardi - e questo film per me ha un valore doppio. Sono stato io a cercare Gioacchino Criaco e Francesco Munzi per poterlo fare ed è la prima volta che agisco in questo modo, ma quando ho sentito che c'era la possibilità di poter raccontare con questa forza le nostre terre non ho resistito... La sfida più grande è stata quella di tradurre poi sullo schermo questa forza con semplicità, senza andare sopra le righe. Con delle sfumature che restituiscono comunque umanità a personaggi fondamentalmente negativi".

Frutto di un lavoro sul campo durato oltre tre anni (tra la stesura della sceneggiatura, firmata da Munzi insieme a Maurizio Braucci e lo scomparso Fabrizio Ruggirello, casting per tutta la provincia di Reggio Calabria e sopralluoghi), Anime nere è recitato quasi completamente in dialetto: "Era imprescindibile, ma non per una questione meramente estetica, più che altro per restituire il senso d'identità molto forte di quelle persone. Una barriera utilizzata anche verso il mondo esterno", spiega Munzi, che esclude qualsiasi tipo di ingerenza "mafiosa" durante le riprese del film: "Non c'è stato nessun tipo di problema o censura a nessun livello. Ammetto che in origine temevo potesse accadere qualcosa di simile, ma si è rivelato appunto solo un pregiudizio".
E che cosa rimane del libro di Criaco? "Dal libro siamo partiti per poi reinventarlo, anche il finale del film ha qualche diversità ma nel passaggio tra letteratura e cinema bisogna tradire per poi ritrovare il senso dell'opera", dice ancora il regista. Al quale si aggiunge lo scrittore: "Francesco, partendo dal mio libro, è poi riuscito a farsi una sua idea in 4 anni di lavoro. La 'ndrangheta non è l'unico problema della Calabria, è uno dei tanti. Nel film viene sottolineato anche quel sentimento di antagonismo allo Stato che, purtroppo, credo sia inevitabile dal momento in cui ti ritrovi a crescere in luoghi dove si vedono le istituzioni andare a braccetto con la malavita: quando ho un problema a chi mi rivolgo, se il maresciallo è compare del boss?...".