Trentunenne, romano, Eros Puglielli è passato rapidamente dai primi racconti grotteschi post-adolescenziali a cortometraggi e mediometraggi di gran successo, fino a Tutta la conoscenza del mondo, un film autoprodotto (almeno in partenza) che gli ha aperto definitivamente la strada del cinema. Quest'anno torna con Occhi di cristallo, thriller presentato alla Mostra di Venezia, prodotto da RaiCinema e Cattleya e interpretato da Luigi Lo Cascio. "In Italia abbiamo una grande tradizione horror, soprattutto negli anni '70 - spiega Puglielli -. Molto meno per quanto riguarda i thriller:  l'unico caso è forse Almost Blue".

Una delle chiavi del tuo cinema è l'ironia, il grottesco. Ti appartiene anche nella vita?
Direi di sì. Per quanto possiamo sforzarci, la nostra personalità emerge sempre. E un film è sempre una lente di ingrandimento su ciò che si è.  In Occhi di Cristallo però l'ho tenuta sotto controllo volontariamente. In favore dell'effetto di suspense.

Ti sei autolimitato senza pressioni dunque?
Il film è molto cupo, forte, denso di tensioni, c'era bisogno di un approccio diverso. Per far emergere il lato oscuro della storia.

Chi sono i tuoi modelli come registi?
Sicuramente i Fratelli Coen. Ma in verità mi definirei uno schizofrenico. Amo il cinema americano, ma anche Tarkovskij. Sono un onnivoro. Non faccio grandi distinguo tra cinema "basso" e cinema autoriale. Mi piacerebbe vivere in un mondo in cui la distinzione non fosse così netta. Amo i film di Spielberg, di Lucas, basati sullo stupore infantile. Ma anche Moretti e Sam Raimi, il maestro dei Coen. E poi mi attrae l'aspetto metafisico che c'è in Stalker, Solaris, la fantascienza alternativa. La capacità di esplorare il fantastico, che in realtà è solo un aspetto interiore del reale.

Come ti sei trovato con Luigi Lo Cascio?
Ci siamo divertiti. Il nostro rapporto era sottile. Una specie di cordone ombelicale invisibile che ci legava, e ci teneva in stato di tensione;  perché era quello che il film richiedeva. Ma fuori dal set scherzavamo sempre. Apparentemente un rapporto giocoso, ma sempre con la coscienza di quello che stavamo facendo. L'ironia serviva a stemperare la pesantezza generale dell'atmosfera che stavamo creando. Luigi è straordinario e credo che sarà sempre più un attore "di riferimento". Difficile fare paragoni. Mi viene in mente Al Pacino, tra gli americani, anche se lui è davvero unico. Tra gli italiani penso che potrebbe diventare un Gian Maria Volontè. Non solo per il cinema d'autore, ma anche per quello commerciale.