Leone d'Oro alla Carriera a Marco Bellocchio. E' la decisione presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra Marco Mueller. In occasione della cerimonia di consegna del premio alla 68esima Mostra (31 agosto -10 settembre) - nella Sala Grande del Palazzo del Cinema - sarà presentata la nuova versione di Nel nome del padre (1971), non un restauro, ma più un director's cut inedito realizzato dal regista a partire dai materiali del film stesso: "Non è stata un'idea fissa, niente di persecutorio. ha detto a proposito dell'operazione lo stesso Bellocchio - eppure in tutti questi anni mi è tornata in mente, a intervalli vari, anche lunghissimi, l'idea, la convinzione che Nel nome del padre non avesse ancora trovato la sua forma definitiva. Ne è la prova il fatto che dopo la prima proiezione pubblica (Festival di New York, 1971) Nel nome del padre è ritornato in moviola altre tre volte, quattro con quest'ultima revisione. Per una necessità di liberare le immagini, nel senso di alleggerirle di quella pesantezza ideologica che le schiacciava, le soffocava". Consacrato già al suo film di debutto, I pugni in tasca (1965), come uno degli autori di riferimento del Nuovo Cinema, Marco Bellocchio ha dovuto faticare non poco per “liberarsi” da quel successo inatteso e ingombrante. Vi è riuscito cimentandosi su più fronti: l'eccitazione visionaria di Nel nome del padre (1971), il classicismo di Marcia trionfale (1976), lo psicodramma de Il gabbiano (1977). Per trovare, con Salto nel vuoto (1980), un equilibrio fra tendenza alla grande prosa e tensione verso il cinema di poesia. Questo gli ha consentito, a partire dall'incandescente Diavolo in corpo (1986), di approfondire la propria ricerca di un cinema in presa diretta sulle pulsioni dell'inconscio, sino al formalismo di La condanna (1991) e allo sperimentalismo de Il sogno della farfalla (1994). Con la messa in scena della notte dell'inconscio ne Il principe di Homburg (1977), Bellocchio ha voluto oggettivare (coniugandoli al passato in La balia (1999) e al presente in Buongiorno, notte (2003) e in L'ora di religione, 2002) i temi che per anni l'hanno travagliato e appassionato. Di recente ha trovato anche la voglia di dare vita a esperienze di formazione e di co-realizzazione con dei giovani allievi (il laboratorio “Fare Cinema”, che organizza ogni anno a Bobbio), dalle quali prende origine Sorelle mai, presentato Fuori Concorso alla Mostra 2010. Senza dimenticare, in mezzo, il successo internazionale di Vincere: "Seguire il cinema di Marco Bellocchio ti porta - ha dichiarato Muller - in ogni suo nuovo film, sempre verso altre destinazioni da quelle che ci sembrava di aver raggiunto e scoperto. Camminatore instancabile, traghettatore di idee, esploratore del confine instabile tra se stesso, il cinema e la storia, ha utilizzato come mappa, per orientarsi, il mondo che comincia oltre i confini della realtà visibile (e nell'inconscio). E ha così trovato i modi di espressione più vitali e "giusti" - per raccontare l'urgenza di saperi, individuali e collettivi, indeboliti, o svaniti".