“Ho dovuto fare anche il distributore per cause di forza maggiore, e ho scoperto quanto sia difficile. Le distribuzioni sono state molto tiepide: dinieghi e offerte poco incoraggianti, per cui ho fatto da solo, con 6 copie in Sardegna a ridosso della Mostra di Venezia, e poi nel resto d'Italia grazie ad amici: a oggi abbiamo fatto 32mila spettatori e 200mila euro di incasso, cifre considerevoli in queste condizioni”.
Così il regista Salvatore Mereu presenta Bellas Mariposas, che giovedì 9 maggio arriva all'Alcazar di Roma e riparte col tour “porta a porta” in altre città: budget di un milione e 600mila euro, produttori il regista e la moglie Elisabetta Soddu, ha ricevuto il premio Schermi di Qualità agli Orizzonti veneziani 2012, nonché un premio per la distribuzione (uscirà in Benelux il 24 maggio) al festival di Rotterdam. Tratto dall'omonimo racconto di Sergio Atzeni, Bellas Mariposas ha per protagonista Cate (Sara Podda), 11 anni, tanti fratelli e un padre balordo (Luciano Curreli): vive nel periferico quartiere Sant'Elia di Cagliari, ha in Luna (Maya Mulas) la migliore amica, vorrebbe fare la cantante, sposare l'impacciato Gigi e non finire incinta a 13 anni come la sorella Mandarina…
Perché un film bello, premiato e coraggioso come questo non ha trovato distribuzione? “L'esercizio ha subito una rivoluzione copernicana, molte sale di qualità hanno chiuso e le distribuzioni ne fanno le spese. Non solo, non essere finiti in Concorso ma in una sezione collaterale a Venezia, non ha facilitato le cose, anche perché la critica privilegia la competizione”, dice Mereu, già noto e apprezzato per Ballo a tre passi e Sonetaula, che ha iniziato a lavorare a Bellas Mariposas col precedente doc Tajabone, protagonisti i ragazzi a scuola del quartiere Sant'Elia: “Ero il loro maestro, e per questo ho potuto poi girare questo film: il cienma non aveva alcun fascino, viceversa, rappresentava un disturbo per alcune attività in loco non propriamente legali…”.
“Io sono scappato da Cagliari, ma ho visto tanti come il mio personaggio attaccati al bancone, l'Ichnusa per punto di riferimento, la disoccupazione e l'essere “porcaccioni” per vanto”, dice Curreli, evidenziano una peculiarità di Bellas Mariposas: “Per la prima volta al cinema si parla di una città della Sardegna: non com'eravamo, ma come siamo”.
Da produttore, Mereu s'è concesso il lusso di girare in ordine cronologico, affinché le piccole protagoniste potessero “crescere con il film, giorno per giorno”, e s'è rapportato con fedeltà al racconto “dalla leggerezza calviniana” di Atzeni, “nonostante non avesse dialoghi, ma un lungo monologo, e una struttura per atti”. Viceversa, “la sceneggiatura è stata portata verso gli interpreti, affinché la vampirizzassero con i loro vissuti”, mentre per le piccole attrici “l'importante è stato far vivere tutto questo come fosse un gioco, perché quando non avevano voglia non si girava…”. Ma rispetto alla realtà variopinta e degradata del setting come s'è posto il regista? “Nessuna compassione per quel mondo, perché avrebbe implicato un giudizio. E' un mondo vitale, si barcamena senza prendersi sul serio, e gli abitanti hanno dimostrato una naturale capacità a trarre vantaggio da questo film arrivato come un Ufo. Ma Bellas Mariposas ha creato qualche imbarazzo a Cagliari, dividendo e suscitando una bella discussione, come non accade più con il cinema”.