Scorrendo la lista dei titoli di Cannes non si può far altro che riconoscere: missione compiuta. In mostra ci sono opere che vanno oltre il cinema, che lo destrutturano e lo stilizzano, e lo spettatore ha il privilegio di seguire la carriera di un prodigio come Nicolas Winding Refn che con Only God Forgives prende da Lynch, Tarantino e omaggia Alejandro Jodorowsky (presente alla Quinzaine con La danza de la realidad). Di guardare con crescente curiosità ad Oriente: il giapponese Hirokazu Koreeda e la storia del figlio scambiato o del cinese Jia Zhang-ke (lo stesso di Still Life) che con A Touch of Sin fa un salto in avanti, il suo puzzle scomposto ci parla di una Cina corrotta e violenta da cui non c'è via di uscita. Se non il suicidio. O il sorprendente Heli di Amat Escalante, già assistente alla regia di Carlos Reygadas, che fotografa quel Messico periferico e brutale, che abbiamo imparato a conoscere con Iñárritu e Reygadas stesso, caratterizzato da ferocia folgorante.
Un festival disegnato con sapienza ci insegna ad aspettare con desiderio crescente Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen, ispirato alla vita di un cantante folk (Dave Van Ronk interpretato da Oscar Isaac) degli anni '60 o il personalissimo The Immigrant di James Gray con Marion Cotillard e Joaquin Phoenix. Con altrettanta speranza La grande bellezza di Paolo Sorrentino, che ci auguriamo non sia stata superata dai drammatici e miseri fatti di questi mesi. L'esordio di Valeria Golino, Miele (Un Certain Regard), con Jasmine Trinca angelo della morte che oltrepassa il confine del bene. E ancora: Il grande Gatsby di Baz Luhrmann, con Leonardo Di Caprio e Carey Mulligan, ingioiellata da Tiffany; The Bling Ring di Sofia Coppola (apertura Un Certain Regard) con le cattive ragazze capitanate da Emma Watson. Nel ricchissimo cartellone ci sono anche opere sconosciute: il palestinese Omar, in cui viene mostrato un lato inedito del conflitto tra nuovi coloni e vecchi abitanti divisi dal muro, collaborazionismo e traditori legati a doppio filo.
Spesso si scrive che a Cannes (e a Venezia) passano solo autori conosciuti: non è vero. Certo gli affezionati ci sono, però è innegabile che allo stesso tempo si scopra sempre qualcosa. Il cinema serve ad allargare gli orizzonti, a dare spunti di riflessione o a trasmettere un'emozione. Thierry Fremaux, spalleggiato da Gilles Jacob, da qualche anno sta dando l'impronta al suo festival. Non ha paura, a volte sbaglia, altre mette su una macchina da guerra. Può contare su un ottimo budget, una cittadina sul mare, sulle strutture alberghiere e sponsor generosi. Ma dalla sua, ed è giusto ripeterlo, c'è la strategia: la visione di insieme. Ama il cinema profondamente ed è un organizzatore fenomenale. Una controprova? Andate al festival di Lione e assisterete al più grande spettacolo del mondo.