“Volevo fotografare la situazione di stallo del nostro paese. Il periodo adolescenziale si è allungato, è aumentata la precarietà e l'incertezza portando rabbia e tragici eventi come la morte dei vari Carlo Giuliani, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi e Filippo Raciti”. Così Alessandro Aronadio parla di Due vite per caso, prodotto da AMovie Productions di Sauro e Anna Falchi, presentato nella sezione Panorama al Festival di Berlino e nelle nostre sale a partire dal 7 maggio distribuito da Lucky Red, in circa 20 copie.
“L'idea del film nasce dal racconto ‘Morte di un diciottenne perplesso' di Marco Bosonetto. Ho proposto a Marco di scrivere insieme la sceneggiatura. Nella riscrittura ci siamo allontanati sempre più dal racconto originale mantenendo comunque la struttura del doppio”, racconta il regista.
Assente dalla conferenza stampa Lorenzo Balducci, che interpreta il protagonista Matteo Carli ed è attualmente al centro delle cronache dopo le accuse in base alle quali il padre Angelo (indagato nell'inchiesta sugli appalti del G8 alla Maddalena) lo avrebbe favorito nella carriera cinematografica: “Volete sapere come sta? Come volete che stia... E' stata una sua decisione quella di non partecipare oggi”, dice il regista. E continua: “Lorenzo l'ho scelto mentre scrivevo il film, durante quello che io chiamo ‘Fantacast'. Ho visto Gas e ho capito che era il più adatto ad interpretare Matteo: è calmo ma allo stesso tempo può avere degli scatti di rabbia”.
Nel cast anche Isabella Ragonese, ormai icona della gioventù precaria: “Per una questione d'età spesso affronto film sulla precarietà – dice l'attrice –. In Due vite per caso c'è il tema dell'attesa, anche Dieci Inverni parlava di un'attesa sentimentale. Purtroppo le situazioni alla Fantozzi del posto fisso non ci sono più”. E del suo personaggio aggiunge: “Di Sonia mi piaceva l'idea di non essere la fidanzata di qualcuno. Matteo è come una pagina bianca che deve essere scritta dagli altri. Le donne influenzano la sua esistenza oltre che la sua vita sentimentale”.
Sui giovani, il regista aggiunge: “La maggioranza dei ragazzi non ha punti di riferimento. Si vive in un limbo e si cerca di trovare un'identità appartenendo ad un gruppo, tipico dell'età adolescenziale, rischiando di ristagnare nell'incompiutezza”.
Inizialmente doveva intitolarsi Aspettando Godard per un gioco con Aspettando Godot, ma il distributore Andrea Occhipinti lo ha ritenuto un titolo troppo criptico e ha deciso di modificarlo.
“Fare un'opera prima è come un tuffo senza rete di protezione. Ho lavorato come assistente con vari registi, da un seminario di Gianni Amelio ho imparato a non invadere il campo del racconto con lo stile. Anche se necessariamente quando fai un'opera prima devi convincere le persone che hai uno stile sennò non ti fanno fare la seconda!”, dice il regista che nel film ha citato anche I 400 colpi di Truffaut perché “racconta un passaggio dall'infanzia all'età adulta e volevo fare un umile confronto con quanto può essere difficile diventare adulti adesso, dove tutti sono eterni giovani”.