Romano, 30 anni, volto intenso. Alessandro Prete ha due occhi dolci e profondi. Un uomo sensibile, attento alle cose più vere. Nel '98 debutta in teatro con Barbecue di Aldo Nicolaj, nel '99 in tivù con Un posto al sole e nel 2000 al cinema in A.A.A. Achille di Antonio Albanese. Attualmente è impegnato a Tarquinia sul set del film di Paolo Bianchini Federico e Francesco, sul Barbarossa e San Francesco.

Quale il tuo ruolo?
E' un personaggio del tutto nuovo rispetto ai precedenti. Sono un sordomuto, incarcerato, nudo. Un ruolo difficile che mi ha spaventato, ma Paolo l'ha creato apposta per me. E di lui mi fido. Mi ha detto: "Mi piace la contraddizione fra il tuo viso forte e i tuoi occhi così sensibili".

A 30 anni hai alle spalle una buona carriera, con una ventina tra film e fiction. Da dove sei partito?
Io non ho mai pensato di fare l'attore, anche se sono un figlio d'arte: mio padre, Giancarlo, era celebre negli anni Settanta-Ottanta. Confesso che, pur venendo da una famiglia medio-alta, con un padre attore e una madre baronessa spagnola, sono stato un giovane scapestrato, un ribelle, deciso a diventare il peggiore della scuola. Anche perchè vivevo nella contraddizione: vacanze dai nonni con tanto di servitù e vita reale a Roma, tra Prati e Trastevere. Ero per le cose estreme. Non volevo studiare, m'interessava la fisicità, il nuoto, il pugilato.

Finchè…
Avevo voglia di indipendenza economica, così ho ceduto alle pressioni dell'agente di mio padre. Ho fatto delle foto, il mio primo provino con Bertolucci per Io ballo da sola. Non mi ha preso per il film ma mi disse: "Hai un bel talento. Studia, leggi, informati, cura la tua sensibilità". Da quel giorno mi sono buttato nello studio, nella lettura, nel vedere film. A casa mia - vivo solo a Sacrofano - sono orgoglioso della biblioteca e della mia videoteca.

Interpreti spesso ruoli forti
Questi personaggi un po' dannati, tuttavia hanno una certa umanità che io vorrei raccontare e far passare, perché anche un cattivo è un essere umano. Nel mio mestiere di bello c'è che fa vivere i rapporti delle persone col mondo, perché dovrebbe rappresentare la realtà che ci circonda, evidenziarla. Non ci si dovrebbe vergognare delle proprie emozioni, di quello che uno sente. Per me è bello quando riesco a far emozionare qualcuno.

Cosa ti emoziona, in particolare?
Le cose semplici. Soprattutto quando riesco a superare le difficoltà. Mi piacciono le cose vere della vita. I bambini. Tutto quello che fanno, non sono doppi, e gli animali. Spesso vado a cavallo per i boschi insieme al mio cane. Certo, se penso alla sofferenza, l'ho provata, anche se forse non più di altri. L'ho affrontata e vinta grazie al lavoro, ai personaggi che interpretavo, sono cresciuto con loro. E' stato in questo modo che ho superato la morte di mio padre quando avevo 25 anni, era il mio miglior amico, il mio punto di riferimento.

Ora, a 30 anni come ti ritrovi?
Se penso al mio mestiere, lo vivo in modo semplice: un lavoro bellissimo, ma uno come gli altri. Tutto ciò che è mondano mi imbarazza, non lo so gestire, perché per me prima di tutto valgono i rapporti umani autentici