“In Iran ci sono molti problemi, non c'è sufficiente libertà, ma non è detto che fuori ci sia. Piuttosto, in Occidente c'è l'immaginario della libertà, ma anche questo è pericoloso: le persone sono convinte di essere libere, ma non lo sono. Nel mio Paese si lotta con la censura, ma in America e più in generale in Occidente c'è una censura ancora più forte: il capitale, la finanza”. Parola del regista iraniano premio Oscar per Una separazione Asghar Farhadi, che il 21 novembre porta nelle nostre sale, in 80 copie targate Bim, Il passato, interpretato da Ali Mosaffa, Tahar Rahim e Bérénice Bejo, premiata quale migliore attrice all'ultimo Festival di Cannes.
Nel film dopo quattro anni di separazione, Ahmad (Mosaffa) torna  a Parigi da Teheran, chiamato dalla francese Marie (Bejo): obiettivo, terminare la procedura di divorzio. Durante il soggiorno, Ahmad scopre la conflittualità del rapporto esistente tra Marie e la figlia Lucie.“Se noi iraniani siamo preoccupati per la censura, i miei colleghi in Occidente sono altrettanto preoccupati per il proprio futuro, perché per trovare i soldi camminano su un terreno accidentato: tanti perdono la pazienza e cambiano mestiere”, dice Farhadi, sottolineando come “a differenza di altri registi iraniani, che hanno avuto la sfortuna di sbattere contro un muro, io sono sempre riuscito a schivare la censura, forse perché non critico il potere, ma la società. Del resto, sono convinto che per avere un futuro migliore debba migliorare la società: solo così avremo governanti all'altezza, perché le radici della violenza e dell'ingiustizia stanno nell'ignoranza”.
Ma che ne pensa Farhadi dei segnali di apertura che vengono dal nuovo presidente Hassan Rohuani: “Sono ottimista, ma realista. Ci sono due ostacoli: all'interno, i gruppi radicali; all'esterno, i governi stranieri che malgrado le apparenze non vogliono un cambiamento in Iran, perché questa situazione di crisi è più conveniente per loro”. Il passato è il suo primo film girato in Europa, ma Farhadi precisa: “Non me ne sono andato in Francia per essere libero, ma perché la storia mi portava lì. Ora ho alcuni progetti ambientati in Iran, altri all'estero: non ho ancora deciso quale sarà il mio prossimo film”. Sulla situazione dei colleghi, presenti e futuri, il regista ricorda come “Kiarostami sia stato un riferimento, ma in troppi poi hanno fatto copia e incolla del suo cinema: spero le nuove leve prendano la propria strada, senza imitare me come altri”, mentre ha visto di recente a Teheran i ribelli Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof: con il primo è andato tre settimane fa a un concerto, con il secondo si è incontrato alla Casa del Cinema, da poco riaperta. Il passato è stato nominato dall'Iran per la corsa all'Oscar per il miglior film straniero, che Farhadi ha già vinto con il precedente Una separazione: “Una bellissima sensazione vincerlo, con un capitale molto limitato, girato in due camere e cucina, come già fu per i film di Rossellini e De Sica. Spero di bissare la statuetta, forse almeno un rigo d'agenzia le televisione statali stavolta lo passeranno: mentre il Paese intero festeggiava la vittoria di Una separazione, le tv tacevano…”.Farhadi rivela come il massacro fratricida della band iraniana Yellow Dogs (erano anche  nella colonna sonora di Gatti persiani di Bahman Ghobadi, NdR) a New York “abbia suscitato molta impressione in patria”, mentre sulle polemiche suscitate nella comunità musulmana americana, in particolare iraniana, dal serial Homeland, il preferito di Obama, chiosa: “Non l'ho visto, ma oramai noi iraniani siamo abituati ad avere un'immagine deformante sui media: d'altronde, gli stupidi esistono dappertutto”.Venendo al film, il regista sottolinea: “Il passato non esiste, la mente trasforma i ricordi, ed è lì che nascono i malintesi. Per questo, non si può avere cieca fiducia in alcun libro di storia”. Attenzione speciale alle donne, perno del suo cinema: “Sono il segno del cambiamento, forse perché partoriscono e hanno insita l'idea del futuro, mentre gli uomini incarnano fissità e tradizione”. Ne Il passato c'è una donna in coma, sospesa tra la vita e la morte: “In lei si manifesta più chiaramente quel dubbio che è di tutti. Lei non può difendersi né parlare di sé, mentre tutti ne parlano: accedeva già alla protagonista di About Elly, forse è una costante del mio cinema”.
Ma come è cambiato girando in Europa? “Ho applicato lo stesso sistema di sempre, se sei abituato a  camminare su un terreno accidentato anche sull'asfalto ti muovi allo stesso modo”. E cosa renda sconnesso il suo abituale terreno, ça va sans dire, è la censura: “Non c'è libertà di soggetto, devi sempre trovare alternative, come fanno gli alpinisti”. Se dirigere la Bejo “è stato più semplice che con un'attrice iraniana, perché dopo mesi di prove l'ostacolo linguistico non c'era più”, l'ultimo pensiero di Farhadi è per l'amore: “Citando Erich Fromm, l'amore è figlio della libertà, ed è questo l'aspetto più complicato: per amare non devi possedere”.