L'avventura di Pi si svolge tra mare e cielo. Alla deriva su una scialuppa di salvataggio in pericolosa compagnia di una tigre, il ragazzo indiano guarda al mare come fonte di sostentamento e in alto per nutrire l'anima e trovare la forza di resistere. La storia, narrata da Yann Martel nel romanzo Vita di Pi pubblicato nel 2011, ha conquistato milioni lettori in tutto il mondo eppure quando si è trattato di mettere mano alla trasposizione cinematografica, c'è sempre stato qualcosa a procrastinare i tempi della realizzazione. Ci si sono provati in tanti, anche visionari del calibro di M. Night Shyamalan e Alfonso Cuarón, poi è arrivato Ang Lee e ha fatto sua la vicenda apparentemente non filmabile del naufragio lungo 227 giorni dell'adolescente Pi e della tigre Richard Parker. E ha compiuto il miracolo. Un prodigio visivo che trasporta lo spettatore in un universo fantastico in cui la bellezza e la brutalità della natura trasfigurano continuamente in elemento onirico. La ricetta dello straordinario risultato di Vita di Pi? Il valore altamente metaforico della storia, la bravura del giovane attore, gli strabilianti effetti speciali, il fascino dell'oceano con le sue incredibili creature, la tensione verso il trascendente del protagonista, l'amicizia impossibile tra uomo e animale feroce, l'uso del 3D per una volta assolutamente funzionale. Un risultato di cui essere fieri, e Ang Lee certamente lo è. Lo si capisce da come, timido e riservato per natura parla in maniera emozionata di Vita di Pi, in uscita il 20 dicembre, accettando di svelare uno ad uno i suoi segreti d'autore.

Filmare l'impossibile. “Quando mi hanno chiesto se ero interessato a portare sullo schermo Vita di Pi in un primo momento ho pensato che il romanzo di Martel, che avevo letto, contenesse molti elementi visivi interessanti e che sarebbe stato fantastico restituirne la ricchezza metaforica oltre a ricostruire le meraviglie del mare e del cielo tanto ben descritte. Dopo però è subentrata la paura, in fondo la storia gira intorno a due soli personaggi, il ragazzo e la tigre. Ho cominciato a immaginare come avrei potuto rendere il rapporto tra di loro e allo stesso tempo valorizzare al massimo le potenzialità dell'ambientazione, visto che la natura ha un ruolo fondamentale. Ma non si è certo trattato di scegliere le inquadrature e girare, il processo è stato lungo e complesso perché c'era il 3D e la digitalizzazione che avrebbero dato al tutto la forma definitiva solo in un secondo momento. E' stata una vera sfida, ma le sfide sono educative e vanno sempre accettate”.
Pi. “Il ragazzo in mezzo al mare, in balia delle onde e degli umori della tigre, è il film. Bisognava trovare un attore all'altezza del ruolo. Ho incontrato centinaia di ragazzi, ma solo Suraj Sharma ha mostrato le giuste caratteristiche. Ho intuito da subito le sue potenzialità, è un vero talento. Recitare senza nessuno accanto è molto complicato, una difficoltà amplificata all'inverosimile perché quando sai che la tigre sarà inserita successivamente non è che puoi muoverti come ti pare, tutto è predisposto al millesimo. Ha sopportato tre mesi di prove incredibili, basti pensare che doveva restare in acqua per ore. Ma Suraj è stato eccezionale, non ha mai perso la naturalezza e alla fine non sembra recitare. E in qualche modo è così, ha talmente introiettato il personaggio che in un certo senso Suarj è Pi”.
La tigre. “Sembra reale, non lo è se non in qualche momento. Mi sarebbe piaciuto girare servendomi esclusivamente di una tigre vera ma sarebbe stato impraticabile oltre che pericoloso, non c'era altra strada che la digitalizzazione. Il film sarebbe costato di meno, questo sì, ma non ce la siamo sentita di rischiare la sorte scommettendo su un'innaturale amicizia tra Suraj e l'animale. Che poi è anche una delle chiavi del film. La tigre non è l'unica presenza a unire reale e digitale, anche per la sequenza dell'isola abbiamo unito riprese dal vero con effetti speciali. Credo che questo mix sia stata la soluzione più valida tra quelle sperimentate”.
3D. “E' la prima volta che lo uso, un'esperienza faticosa e insieme esaltante. Quando cominci a girare in 3D nessuno ti dice come devi fare, è come ritrovarsi al primo film. E' una tecnica che richiede molta concentrazione, sul set va controllato anche il più piccolo particolare. L'inquadratura abbraccia più piani, e sei tu a decidere cosa deve essere messo in evidenza e cosa invece lasciato sullo sfondo. Inoltre in Vita di Pi c'era la sfida del mare, che è facile restituire in forma piatta ma è tutta un'altra storia se le onde devono sembrare vere e dare l'illusione di trascinarti dentro. Va applicata una tecnica diversa anche alla recitazione. Gli attori non possono calcare troppo, altrimenti i loro lineamenti esagerano le emozioni con un esito negativo che sa di falso. Sono contento del risultato ottenuto, spero che questo 3D contribuisca a esaltare le emozioni e non sia un semplice moltiplicatore di meraviglie”.
Adolescenza. “Vita di Pi è una storia per tutti, anche se il suo pubblico naturale è quello dei più giovani. E' ricco di valori, spero proprio che i ragazzi ne afferrino la profondità. Pi è uno di loro, adolescente in balia della natura e in cerca di se stesso. Un racconto narrato tante volte dalla letteratura. Per quanto mi riguarda però, se devo trovare dei riferimenti letterari precisi penso a scrittori come Poe. E non a caso, dal momento che Richard Parker è il nome di uno dei protagonisti del suo romanzo “Le avventure di Arthur Gordon Pym”. Credo che il film contenga molti elementi di verità pur raccontando una storia completamente inventata. Siamo tutti stati piccoli, le paure di Pi le conosciamo. Come conosciamo le battaglie che è costretto ad affrontare. In fondo è anche un film sull'illusione e la disillusione, che sono propri del cinema come della vita.