“La storia è molto dolorosa, ma il film non lo è, predomina una sensazione di felicità”. Così l'attore Jean-Louis Trintignant presenta Amour di Michael Haneke, Palma d'Oro a Cannes e dal 25 ottobre nelle nostre sale con Teodora e spazio Cinema, dopo aver totalizzato in Germania e Austria rispettivamente 100mila e 40mila spettatori nella prima settimana di programmazione.
Al suo fianco Emmanuelle Riva, questo “film d'amore” (Trintignant) racconta la storia di Georges e Anne, due anziani professori di musica in pensione: quando la donna subisce un ictus, l'amore della coppia è messo a dura prova, fino alle estreme conseguenze. Nel cast anche Isabelle Huppert, nei panni della figlia musicista della coppia, Amour (candidato dall'Austria agli Oscar) segna il ritorno sul grande schermo di Trintignant dopo 16 anni di assenza: “Non amo particolarmente il cinema, preferisco il teatro: questo è il mio ultimo film. Anzi no, per Haneke accetterei di fare anche una particina”. Perché, dice l'81enne attore francese, “Haneke è il più grande regista con cui abbia mai lavorato: ha un rigore estremo, è molto, molto esigente”.
Se dei suoi 130 film all'attivo “una trentina sono quelli da salvare”, Amour ha “un soggetto tabu come spesso accade nel cinema di Haneke, che porta sullo schermo provocazione e violenza: in alcuni casi gratuitamente, ma qui no, sono al servizio della storia, per questo lo considero il suo miglior film”. Non sappiamo che fine fa il suo George dopo l'epilogo di Anne, e nemmeno il “bergmaniano come già Kieslowski” Haneke lo sa: “Per me - dice Trintignant - si suicida, un suicidio nella gioia, non nella tristezza. Del resto, una persona che ha ucciso per amore merita a sua volta di rimanere uccisa”. E aggiunge che “probabilmente c'è un elemento autobiografico: Haneke era molto legato a una zia, che gli aveva chiesto di aiutarla a morire. Lui s'era rifiutato. Chissà forse si sentiva la coscienza sporca, ed ecco questo film. Comunque, non gli piace che si parli al riguardo di eutanasia”. Viceversa, la Riva dice che non vorrebbe “trovarmi a giudicare il gesto di Georges, ma lui sa che Anne voleva morire gettandosi dalla finestra, sa che la vita della donna è insopportabile, e rispetta il suo desiderio di non andare all'ospedale, vivendo il quotidiano, facendosi carico di quel che succede. Ma, quando Anne ha il secondo attacco, la sofferenza non è più solo fisica ma dello spirito: una vita che né lui né lei vogliono, e Georges agisce per lei. Comunque, la situazione non è generalizzabile, non mi sento di dire che cosa la gente debba fare in casi analoghi. Questo è Amour, né un amore, né l'amore, amour tout court”.
Ma quali sono state le linee guida di Haneke sul set? Gli attori concordano: “Non abbiamo fatto nessuna prova, ma abbiamo parlato molto e girato tanto, senza problemi di costi, perché la prima volta non ha usato la pellicola. Da noi non voleva emotività, né singhiozzi, nessuna  lacrima, nessuna emozione che emergesse”, dice Trintignant, mentre la Riva aggiunge che “Haneke ripudiava il sentimentalismo, voleva una recitazione giusta, trattenuta, controllata. Questo mi ha dato una grande libertà, è la luce che mi ha guidato sul set”.
Infine, Trintignant, di cui da pochissimo è uscita in libreria l'autobiografia “Alla fine ho deciso di vivere” (Mondadori), ripercorre brevemente i 30 film che ha girato in Italia “negli anni '60, l'età d'oro del vostro cinema, di cui serbo ricordi molto piacevoli”, da Il sorpasso di Risi, “da voi un grande successo commerciale, in Francia considerato un film intelligente, d'autore” a Il conformista di Bertolucci, “importante per la storia italiana, quella del boom economico”.