Valérie Donzelli, truccatrice, parrucchiera, sceneggiatrice, regista e protagonista de La guerra è dichiarata, è anche madre del piccolo Gabriel, 8 anni, il sopravvissuto al Rabdoide - una forma molto aggressiva di tumore - che l'ha colpito al cervello a soli diciotto mesi. E' lui che appare nelle sequenze iniziali e finali del film. E Jérémie Elkaïm, co-sceneggiatore e co-protagonista, è davvero suo padre. Cambiano i nomi (emblematici e massimamente universali: lui è Romeo, lei è Giulietta e il piccolo viene ribattezzato Adamo) ma non i personaggi, pardon le persone, che li portano: questa guerra è la continuazione della (loro) vita con altri mezzi. Ma non un documentario: "Non è più autobiografico dei film realizzati da altri registi - sottolinea la Donzelli -. Credo che qualunque cosa il cinema racconti abbia sempre una matrice personale". Eppure i cortocircuiti tra vita e finzione qui si sprecano. La sceneggiatura è tratta dal diario che, al tempo della malattia del figlio, Valérie teneva "a ricordo delle cose da fare, degli appuntamenti coi dottori e dei sentimenti che allora provavo"; il processo di scrittura ha coinvolto il vero padre di Gabriel in ogni sua fase; l'ambientazione scenica sfrutta i veri ospedali che ospitarono la lunga odissea della coppia; da ultimo, non per ultimo, sono proprio Valérie e Jérémie a impersonare i rispettivi alter-ego della finzione, riducendo ulteriormente la distanza tra vita e rappresentazione.
D'altra parte, questa radicale prossimità con il vissuto viene trascesa sempre dal libero gioco delle forme, da uno stile energico e assolutamente inventivo, dal punto di riferimento costante al cinema, alla sua memoria (Truffaut) e ai suoi generi (dramma, melodramma, commedia), all'arte e alle sue creazioni, alla musica e alle sue trasgressioni (il repertorio è vario e passa in rassegna la classica, il pop e persino un brano originale, la tenera ballata scritta da Valérie e Jérémie, Ton grain de beauté). Il risultato è un film che parla di malattia e trasuda vita, una guerra combattuta con le armi dell'amore, una vittoria che è anche una sconfitta perché, come dice la Donzelli, "affinché il figlio possa sopravvivere, qualcosa deve morire". Non diremo cosa, anche se questo non è un film di suspense: "Da subito, volevo che si sapesse che sarebbe sopravvissuto e che ci si chiedesse solo cosa sarebbe successo per arrivare a quel risultato". E non è nemmeno un rituale di liberazione dal dolore che tanto "il cinema non esorcizza niente".
No, La guerra è dichiarata - che arriva in 30 delle nostre sale domani, distribuito dalla Sacher - è nelle parole della sua autrice "una storia d'amore che passa attraverso il filtro di una grande prova". E se, dopotutto, "i film pongono tutti una sola domanda: ma l'amore esiste?", quello della Donzelli si dà anche una risposta: sì.
Ma c'è anche la guerra. Che la si vinca o la si perda, statene certi: nulla sarà più come prima.