"Ho conosciuto Fabrizio molto tempo prima che lui conoscesse me. L'avevo visto nel 1980 all'Eliseo in Prima del silenzio di Patroni Griffi e poi in un ristorante accompagnato da una bellissima donna: già in questo percepii la nostra differenza". È ironico e affilato Sergio Rubini invitato dal critico Mario Sesti a ricordare con Fabrizio Bentivoglio gli inizi della loro ventennale amicizia. Mentre sullo schermo scorrono mute le sequenze dei film interpretati dai due attori, il pubblico dell'Auditorium di Roma è chiamato a entrare in questa affascinante relazione, fondata – entrambi concordano – "più sul non fatto che sulle cose fatte insieme: un non-viaggio in auto nel Nord Europa, una non-gita in montagna". Una relazione portata davanti alla macchina da presa in tre film: Del perduto amore di Michele Placido – "ma ci incontravamo solo in campo lungo" -, Denti di Gabriele Salvatores e L'amore ritorna in cui Rubini dirige il suo vero padre e Bentivoglio. Pur distanti caratterialmente – pacato e neghittoso Bentivoglio, sanguigno ed estroverso Rubini -, i due condividono l'idea che fare l'attore implica "tagliarsi dei pezzi che rimangono ai personaggi". Personaggi prevalentemente nordici quelli di Bentivoglio, mentre Rubini afferma di essere rimasto intrappolato nel triangolo Bari-Foggia-Matera: i due, però sconfessano una netta contrapposizione perché "nord e sud sono stati d'animo con cui ogni uomo si trova a convivere". Incalzati dalle domande di Sesti e poi da quelle del pubblico, i due rivelano la comune mancanza di nostalgia per il teatro da cui provengono – il Piccolo di Milano per Bentivoglio, la Silvio D'Amico a Roma per Rubini - e la "forzata astensione dall'amicizia" sul set de L'amore ritorna, necessaria per non turbare lo sviluppo del film". Da ultimo, spazio alla critica della critica: per Bentivoglio "la sinossi e le ultime tre righe di giudizio decretano l'inutilità della critica cinematografica, auto-ridottasi a basso servizio"; più variegata l'opinione di Rubini, per il quale "l'accettazione della critica – sia negativa che positiva – passa necessariamente dalla stima per il suo autore: a chi apprezzo, critico o meno, faccio vedere i miei film e ne accetto i suggerimenti". Unanime, comunque, la condanna per le palline e le stellette che dichiarano il valore di un film: "Il critico si dovrebbe proteggere da questi escamotage: non gli fanno onore".