Ci sono due Americhe. Quella che sogna con Obama, scena con cui si conclude il bel documentario di Michael Winterbottom, The Shock Doctrine, e quella di The Messenger. Viaggiano in parallelo, raccontando storie diverse: Winterbottom prende la dottrina liberista del Nobel (contestato) americano Milton Friedman e il libro inchiesta di Naomi Klein sulle disfunzioni del capitalismo e le applica quasi pedissequamente, a volte anche in modo didascalico, a epoche diverse e a forme di governo dittatoriali. Utilizzando immagini di repertorio mai viste prima: la dottrina shock parte dall'11 settembre per attraversare a ritroso la Storia, passando dalle dittature sudamericane al metodo Thatcher, e arrivare di nuovo ai giorni nostri, perché come spiega il regista è un work in progress, vale a dire: al peggio non c'è mai fine. The Messenger di Oren Moverman è un guizzo del concorso piuttosto debole finora, della 59ma edizione di Berlino. Magnificamente interpretato da Ben Foster, Woody Harrelson e Samantha Morton (ma c'è anche un bellissimo cammeo di Steve Buscemi), affronta il disastro iracheno da una nuova angolazione. Dalla parte degli americani, senza nessuna indulgenza, straziante e realistico, camera a mano, nel mettere a nudo rabbia e dolore delle vittime: madri, padri, figli dei soldati che muoiono ogni giorno per una guerra inutile. Avere 100 anni e non sentirli: Singularidades de uma rapariga loura è l'ultimo divertissment del portoghese Manoel De Oliveira. Una storia d'amore fatalmente destinata a fallire, raccontata con ironia e grande maestria, che tiene lo spettatore col fiato sospeso per oltre sessanta minuti.