"Il film è un omaggio alla memoria di Rita Atria. Il suo esempio ci ricorda come sia sempre possibile opporsi a un nemico che sembra invincibile e inattaccabile". Marco Amenta non riesce a dimenticarla questa ragazza. Dieci anni fa aveva già raccontato la sua vita in un documentario, Diario di una siciliana ribelle, presentato al Festival di Venezia e premiato in diversi festival internazionali. Ora la sua figura è diventata il film d'esordio di Amenta, La siciliana ribelle, che dopo il passaggio al Festival internazionale del film di Roma approda venerdì nelle sale italiane (e a maggio in quelle d'oltralpe: il film è una coproduzione Italia-Francia) in 58 copie distribuite dall'Istituto Luce. Cresciuta in una famiglia mafiosa di Partanna, Rita diventa collaboratrice di giustizia all'età di 17 anni, dopo aver perso il padre e il fratello nelle guerre tra clan degli anni '80 e '90. Ripudiata dalla madre, Rita si affida al giudice Paolo Borsellino, che diventerà per lei un secondo padre. Un connubio che porterà all'incriminazione di diversi boss e sicari. Ma una settimana dopo l'uccisione del giudice Rita si toglierà la vita ("Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta", scriveva la ragazza sul suo diario). "Dietro la sua vicenda, c'è una storia universale, quella di una ragazzina che si ribella a qualcosa più grande di lei. - dice Amenta - Per questo ho scelto di allontanarmi dalla cronaca, dai riferimenti a personaggi reali e dalle somiglianze". Nel film - basato sui diari che la ragazza scriveva - Rita Atria è diventata Rita Mancuso (l'attrice Veronica D'Agostino, "Una forza della natura", la definisce il regista), il fidanzato un affiliato al clan rivale, mentre è scomparsa la figura della cognata di Rita (nella realtà Piera Aiello, la prima a ribellarsi alla famiglia e a collaborare con la giustizia; la figlia dell'Aiello, invece, si è dissociata dal film di Amenta, ndr), e Paolo Borsellino ha lasciato il posto a un Procuratore antimafia senza nome, interpretato dall'attore francese Gerard Jugnot: "Avevo visto il documentario di Marco e mi aveva commosso. - racconta l'interprete - Prima d'iniziare le riprese ho incontrato diversi magistrati che avevano lavorato al fianco di Borsellino, come il giudice Ingroia. Mi ha colpito di queste persone l'ironia, la voglia di scherzare nonostante la minaccia continua che grava sulle loro vite". La siciliana ribelle si unisce al lungo elenco dei mafia-movie italiani, marcando però una differenza: "Come per Gomorra - spiega Amenta - l'elemento di novità di questo film è il rifiuto di ogni concessione romantica al fenomeno mafioso. Bisogna farla finita con l'iconografia creata ad hoc dal cinema e rilanciata dalla televisione. La realtà è un'altra cosa ed è ora che i giovani, quelli che su Facebook creano gruppi di amicizia per Riina e Provenzano, imparino a conoscerla".