"Tempo fa con il nostro amico Federico Zampaglione, altro regista che prova a confrontarsi con il genere, riflettevamo sul fatto che ci sentiamo come dei buoni giocatori di baseball in un paese dove esiste solo il calcio". Marco Manetti ne è consapevole, L'arrivo di Wang - che Iris Film porterà nelle sale dal 9 marzo - oltre ad "indagare la reazione di un essere umano al cospetto del diverso" rappresenta quanto di più alieno l'attuale cinema nostrano sia in grado di concepire, realizzare e promuovere: "E' una visione della fantascienza differente rispetto a quella a cui ci ha abituati Hollywood", dice ancora Marco. "Ma sarebbe limitante soffermarsi solo sul discorso del film di genere - aggiunge Antonio Manetti -. Questo è un film con una riflessione e dei contenuti importanti, cosa che se vogliamo trova conferma nel fatto di essere stati selezionati allo scorso Festival di Venezia (sezione Controcampo, ndr)".
Girato e ambientato a Roma, L'arrivo di Wang segue la vicenda della giovane Gaia Aloisi (Francesca Cuttica), interprete di cinese che viene reclutata per una traduzione simultanea, urgente e segretissima. Il suo referente è Curti (Ennio Fantastichini), agente senza scrupoli alle prese con un fantomatico signor Wang: l'interrogatorio avviene al buio, la ragazza non riesce a lavorare bene. Quando si accenderà la luce, capirà finalmente perché l'identità di Wang veniva tenuta segreta. "Da sempre la fantascienza, al cinema come in letteratura, è utilizzata come metafora per parlare della realtà. E' un genere - prosegue Marco Manetti - che attraverso alcuni topoi riconoscibili amplifica determinate riflessioni: a noi interessava soprattutto il tema dell'incomunicabilità".
E, soprattutto, l'annullamento di qualsiasi pregiudizio: "Assolutamente, ma in entrambi i sensi. Da una parte il pregiudizio sul diverso come minaccia, dall'altra il pregiudizio buonista che dipinge l'altro sempre come vittima. Ma abbiamo cercato di non giudicare nessun personaggio: amiamo allo stesso modo l'arroganza violenta di Curti e l'arroganza buonista di Gaia", dice ancora il regista. Che tiene a rimarcare quanto L'arrivo di Wang sia soprattutto "un film di attori".
A partire dal veterano Ennio Fantastichini: "Sono da sempre un patito di fantascienza, ma come attore mi ero rassegnato all'idea che in Italia sarebbe stato impossibile recitare in un film del genere. Poi è arrivato il copione dei Manetti, fantastico, con una linea del mistero interessante, di fatto creazione originale di quella che ora mi piace chiamare 'fantascienza da camera'. Un racconto pericoloso, costruito con un budget non elevatissimo, praticamente tutto in un unico ambiente: mi preoccupava molto il discorso sugli effetti speciali, poi mi sono ricreduto grazie all'ottimo lavoro che è stato fatto". Merito della Palantir Digital Media di Simone Silvestri e Vito Picchinenna, che ha lavorato 15 mesi al film: 346 inquadrature con interventi digitali, 13 minuti di presenza scenica e recitazione di una creatura in computer grafica 3D, basata sulle movenze e la voce di Li Yong.
"Credo sia la prima volta che un protagonista digitale si vede così bene, di solito i film di questo tipo vengono realizzati con inquadrature molto brevi, l'alieno si vede di sfuggita", dice Antonio Manetti. "E' il primo porno-alien", gli fa eco Marco, anticipando senza svelare troppo alcune buone notizie provenienti dagli States: "Oltre ad uscire in Inghilterra, so che il film è piaciuto molto in America. Ci stanno chiamando molti studios però ancora non c'è nulla di ufficiale". Remake in vista o Manetti pronti per il loro primo film oltreoceano? Intanto, di sicuro c'è solamente che il loro prossimo film - L'ombra dell'orco, ancora intepretato da Francesca Cuttica, ora in postproduzione - arriverà nelle sale a settembre: "Sarà distribuito da Medusa, con cui non è così semplice parlare. Inizialmente sapevamo sarebbe uscito il 4 maggio, poi abbiamo scoperto il nuovo posizionamento. Si tratta di un horror, genere forse più vicino alle richieste del mercato italiano, ma sempre di film 'baseball' si tratta", rivela con un mezzo sorriso Marco. Che sia la volta buona per un "fuoricampo" del cinema italiano?