Quando Attack the Block, fantascienza poco extra e molto terrestre ambientata nella banlieue londinese, venne presentato al Festival di Locarno nell'agosto scorso, i riots inglesi mettevano a soqquadro Londra, Manchester e Liverpool, e quel gruppo di ragazzacci che sembrano venire da una moderna e scorrettissima Via Paal somigliavano molto ai ribelli, arrabbiati e vandali che facevano impazzire Gordon Brown. Così come gli alieni, ormai non mostri di un altro pianeta ma, piuttosto, umanissimi reietti del nostro. Se nell'ultimo gioiello dei Manetti, L'arrivo di Wang, il geniale alieno arrivato sul nostro pianeta occupa abusivamente un sottoscala, parla cinese e viene pure torturato dalle nostre forze dell'ordine, e nello splendido L'ultimo terrestre la “grigia” diventa una badante, qui questa sorta di incrocio tra muppets e barbapapà sotto acido vengono subito malmenati da un gruppo di teppistelli e diventano parte del panorama da lotta di classe senza regole: alieni sottoproletari, insomma.
“Io in quel quartiere in cui ho girato ci sono cresciuto- racconta il regista Joe Cornish, anche cosceneggiatore del Tin Tin di Spielberg- e conosco il codice di comportamento di chi ci abita, il film nasce da una mia disavventura simile a quella della protagonista: fermato, bloccato e derubato. E io li conoscevo, ho sempre rispettato i miei vicini e il mio block, ho aiutato i giovani del mio quartiere, perché doveva succedere a me? Ho cominciato a riflettere su quest'evento così traumatico e così la storia ha cominciato a prendere forma”.
Pensate di ringiovanire Loach, di piazzare degli alieni in un contesto sociale disagiato alla Mullan, poi mescolatelo con del cinema audace, visivamente e narrativamente, come quello di Cornish. Ecco che avrete quest'opera fantasociale, buffa e arrabbiata, un ritratto a tinte forti di una realtà in cui questi pericoli pelosi non sembrano affatto fuori posto. “Non ho pensato al tema politico quando ho pensato e girato il film, ma è ovvio che guardando la mia Inghilterra qualcosa è entrato della nostra società in quelle strade: basta solo pensare a quei ragazzi, così simili a quelli che abbiamo visto manifestare contro il governo. Ma questo rimane un fumettone, una storia di fantascienza e avventura. Certo, da sempre il genere è anche metafora della realtà. Se proprio devo pensare al messaggio più potente di Attack the block, è di sicuro la multiculturalità”. E Cornish si richiama ai tempi d'oro di un certo cinema, lavora sugli effetti speciali come fosse nato trent'anni prima. “Sono abbastanza vecchio, purtroppo, per ricordare le meraviglie dei Gremlins o del vecchio corso di Guerre Stellari, dei Tremors, per me lavorare per stupire il pubblico non è usare il computer ma inventarsi ogni tipo di trucco “pratico”, costruendo modellini, dipingendo, usando costumi speciali, in una parola essendo creativi. Mi piace sporcarmi le mani, anche spendendo poco”. In tutti i sensi. Cornish, infatti, forse senza saperlo, fa parte di questo nuovissimo genere fanta-neorealista, in cui l'alieno è il diverso, e viceversa. Forse anche una minaccia, come quando gli ultracorpi invadevano il mondo, ma decisamente più integrata in un mondo sempre più disintegrato. Quello che ai tempi di Romero erano gli zombie, ora sono gli alieni, non oltre la realtà, ma dentro la realtà. “Guardo al futuro del nostro mondo, partendo dal presente che conosco. Anche se come ho detto, cinematograficamente mi rivolgo al passato, adoro i B-movies degli anni '50”. Da qui probabilmente nasce la magia di quello che presto, siamo sicuri, diverrà un cult. Quel modo di unirsi di chi è così diverso all'esterno ma che mangia la stessa polvere, questa battaglia per la terra che obbliga tutti alle più imprevedibili prese di responsabilità, quelle immagini così vintage e curate nella loro rozza raffinatezza faranno inevitabilmente breccia nel pubblico e nella critica. Perché persino gli alieni, ora, hanno ridotto le loro pretese: un tempo avrebbero provato a conquistare il mondo, ora si accontentano di un quartiere di periferia. Magari sperando in una riqualificazione, in un cambio nel piano urbanistico. Per diventare alienati, più che alieni.