Sigaretta elettronica in bocca e molti chili in meno, alla conferenza stampa programmata all'interno della 14° edizione del Festival del cinema europeo di Lecce che gli dedica una retrospettiva Aki Kaurismaki si mostra affabile e disponibile. Un'occasione da cogliere al volo, perché il regista di Miracolo a Le Havre non ha mai amato molto gli incontri con i giornalisti. Ma oggi, appunto, è una giornata speciale nella quale parlare a ruota libera di film, di quelli da lui diretti e di quelli che hanno indirizzato la sua carriera. “ Sono sempre stato un cinefilo – ricorda. Il cinema ha condizionato la mia vita e le mie scelte. A cambiare profondamente la visione del mondo sono state due opere proiettate assieme durante un doppio spettacolo: Nanuk l'eschimese e L'Age d'or. Due modi diversi di fare cinema, da una parte il realismo tipico del documentario dall'altra il surrealismo. Non mi sono ancora ripreso da quella visione. Sull'Age d'or da ragazzo ho anche scritto un saggio di 36 pagine,  l'ho studiato veramente bene. Mi piace molto il cinema del passato, mentre vedo molto poco di quanto che viene prodotto oggi.”
A chiedere quali autori apprezzi di più, si capisce subito che è un cinefilo onnivoro in grado di saltare da Bresson a Rossellini e da Méliès a Bergman con uguale appassionato slancio. “Amo i bei film – puntualizza. In questo momento sono molto attratto dal cinema muto e in particolare da Méliès e dalle commedie con Douglas Fairbanks. Un attore straordinario, con una fisicità prorompente frutto di un intenso allenamento e non degli effetti speciali. Non sopporto i divi di oggi, non li sento veri. So di far arrabbiare molti, ma non posso proprio sentir parlare di Brad Pitt e di Johnny Depp. Per carità, si arrampicano anche loro sulle funi delle navi, ma con l'aiuto del digitale. Non è la stessa cosa”.
Non c'è da meravigliarsi che Kaurismaki non ami le facce hollywoodiane, lui che sceglie gli attori per la loro capacità di esprimere al meglio pensieri ed  emozioni in barba a bellezza e sex appeal. E quando trova un interprete  che lo colpisce, tende  a farlo entrare nella sua famiglia creativa e a non mandarlo più via. E ci tiene a spiegare perché: “Se si pensa all'attore simbolo di John Ford scatta automaticamente il nome di  John Wayne. Wayne in qualche modo è Ford. Quindi, se si è soddisfatti di un attore, perché cambiare? Certo, se ricordiamo le sue scelte politiche non è facile apprezzare Wayne,  ma quando prende in braccio Nathalie Wood in Sentieri selvaggi ti dimentichi di tutto e lo ami. Non c'è niente da fare,  gli attori di un tempo erano un'altra cosa. Cary Grant… che meraviglia!”
Fino a oggi Kaurismaki non aveva mai immaginato di girare in Italia, ma qualcosa gli ha fatto cambiare idea: “Dopo aver assaggiato il meraviglioso vino salentino, sto seriamente pensando di ambientare un film in Puglia. C'è il problema della lingua, perché non vado oltre l'italiano da turista, ma posso migliorare. E inoltre non ancora capito se nei film italiani si deve parlare molto o stare zitti. L'ho chiesto a Moretti ma non mi ha  risposto. Lui non sarà nel mio film.  Vorrei invece Benigni, perché somiglia a John Wayne. E anche un po' a Cary Grant”.
In attesa che prenda davvero piede un auspicabile progetto italiano, il regista finlandese dice di non avere ancora idee precise da trasformare in sceneggiatura. Di sicuro però l'intenzione è di continuare a confrontarsi con le difficoltà urgenti delle persone reali. “La società sembra incapace di affrontare persino le priorità più immediate della gente. I problemi non finiranno mai – si accalora. Compito di un regista è raccontare la verità, in questo  mi attengo alla lezione di Zavattini e De Sica, alla forza del loro straordinario realismo. Se uno ha uno stile, lo deve seguire e raccontare senza paura infinite volte  le varianti di una stessa storia.  Mi sento molto più di un regista,  vado all'interno dei personaggi e delle loro esistenze. Il cinema non è un giocattolo. E' uno strumento di conoscenza”.