“Il difetto è insito e prima o poi verrà fuori”. È questo il Vizio di forma, l' Inherent Vice che ha dato il titolo al settimo romanzo di Thomas Pynchon, testo adattato per lo schermo da Paul Thomas Anderson, alla settima regia di un lungometraggio, previsto nelle sale italiane dal 24 febbraio, distribuito da Warner Bros.

Dopo Il petroliere (un film sull'assenza di padri) e The Master (un film sull'assenza di madri), Vizio di forma potrebbe inserirsi in un percorso che tenta di rimettersi sulle tracce della “promessa americana” perduta. “In realtà stavolta la ricerca è su qualcosa di un po' più tangibile, che ha a che fare con un'ex fidanzata tornata all'improvviso”, dice Paul Thomas Anderson, primo regista in assoluto che non si è tirato indietro di fronte alla sfida di portare sullo schermo il celebre scrittore americano. “La sfida è stata più che altro a livello internazionale – spiega la produttrice Joanne Sellar (sodale del regista sin dai suoi esordi) – proprio perché Pynchon è un romanziere tipicamente ‘americano'. Ma è stato davvero divertente provare a trasporre per lo schermo un libro come questo, ricrearne le location e il periodo di riferimento”.

Siamo alla fine degli anni '60, nella “mitologica” Gordita Beach, e dal detective sui generis Larry “Doc” Sportello si ripresenta senza preavviso la ex Shasta Fay (Katherine Waterston): il suo attuale fidanzato miliardario, gli racconta, sarebbe al centro di una losca trama da parte della ex moglie e del suo attuale ragazzo, decisi a rapirlo per poi intascarne le fortune… In un mondo dominato dalla paranoia, dai neon e dagli allucinogeni, Sportello inizierà a muoversi in tortuosi sentieri che prevedono l'intralcio e al tempo stesso la collaborazione del tenente Christian F. “Bigfoot” Bjornsen (Josh Brolin), finendo nelle grinfie della misteriosa Golden Fang, solo in apparenza struttura creata ad hoc da qualche dentista per evadere le tasse…

“Sportello non è stupido o completamente strafatto, è più che altro l'incapacità di trovare un senso a quello che vede”, spiega Anderson, che dopo The Master si è affidato nuovamente all'interpretazione di Joaquin Phoenix, ancora una volta chiamato ad una prova molto intensa anche dal punto di vista fisico: “In The Master ho provato a rendere palese, a esteriorizzare tutto ciò che il personaggio teneva dentro di sé, un tormento che dovevo far vedere. Stavolta - spiega l'attore - ho tratto spunto dai film o dalle serie di quel periodo come The Three Stoodges (I tre marmittoni, ndr), certe espressioni buffe o momenti pensierosi”. E un look che ricorda molto il Neil Young di quegli anni, presente nella colonna sonora del film insieme ai Can, i Cascades, i Tornados e molti altri: “Adoro Neil Young e sì, all'inizio il primo riferimento che ho avuto è stata questa foto del cantautore, con quella capigliatura e quelle basette, insieme ad altri spunti dati dalle fotografie del periodo. Molto dell'ispirazione viene dal libro stesso, però, unitamente al lavoro fatto sui costumi da Mark Bridges, un processo organico che si sviluppa per un paio di mesi”. Un nuovo tuffo nel passato per Phoenix, come per The Master e C'era una volta a New York, dopo aver “assaporato” un pizzico di futuro in Her di Spike Jonze: “Non ci avevo mai pensato – ammette l'attore – ma spero che prima o poi mi capiterà di fare un film ambientato nei nostri giorni”. Quel che è certo è che, passato o futuro, Joaquin Phoenix va dritto all'obiettivo: “Quando mi preparo a un personaggio, la ricerca è mirata affinché la performance possa esserne arricchita. Questo però non vuol dire che dopo mi sento più istruito o che la mia conoscenza su un particolare momento storico si sia ampliata, anche perché tendo a dimenticare tutto molto velocemente. Come quando ti prepari per superare un esame: studi, passi l'esame, e subito dopo hai scordato tutto. Lavoro a compartimenti stagni, è come se per ogni film che faccio utilizzo delle scatole in cui mettere ciò che mi è servito per il ruolo”. E cosa ha messo nella scatola per il nuovo film con Woody Allen? “Di questo film non posso parlare, purtroppo, ma la scatola è già pronta e contiene molti libri di filosofia…”.

Per Anderson, invece, la filosofia da mutuare sullo schermo è stata quella di Pynchon: “E' uno scrittore che spesso ha preso pretesto dalle storie noir per poi costruire il proprio mondo. Io ho invece preferito provare a tenermi distante da alcuni riferimenti cinematografici troppo riconoscibili, non volevo ci fossero modelli preesistenti, tentando una strada se vogliamo anche semplice e diretta. Da questo punto di vista, l'apporto della musica (oltre alla playlist citata in parte poc'anzi, presenti ancora una volta i componimenti originali di Jonny Greenwood, ndr) è stato fondamentale: può essere di grande aiuto dal punto di vista emotivo, ancorando a terra il racconto quando si rischia di prendere il largo. O viceversa”. Ma il tratto distintivo dell'opera, che in parte si distanzia dal romanzo originale, è il personaggio di Sòrtilege, al quale Paul Thomas Anderson si affida anche come voce narrante del film: “L'idea mi è venuta a metà stesura. Senza quella voce sarebbe rimasto fuori troppo materiale che non volevo tralasciare: la cosa ha funzionato bene anche perché il personaggio è interpretato da Joanna Newson, suonatrice d'arpa e cantante con una voce che sembra riesca ad adattarsi a ere diverse”.

Interpretato anche da Eric Roberts, Benicio Del Toro, Reese Witherspoon, Jena Malone, Owen Wilson e Martin Short, Vizio di forma è candidato agli Oscar per i migliori costumi e per la miglior sceneggiatura non originale, firmata dallo stesso Paul Thomas Anderson: “La miglior sceneggiatura originale – confida il regista – è però quella di Grand Budapest Hotel”. Un altro Anderson (Wes, ndr), non a caso.