60 anni fa l’esordio di Jean-Luc Godard: era il 1960 quando uno dei registi che avrebbe scardinato la storia del cinema consegnava quello che sarebbe diventato un manifesto della Nouvelle Vague, À bout de souffle – Fino all’ultimo respiro.

Domani, martedì 25 agosto, la Cineteca di Bologna celebra i 60 anni di Fino all’ultimo respiro inaugurando in Piazza Maggiore, alle ore 21.15, la 34ª edizione del festival Il Cinema Ritrovato, con il nuovo restauro del film, realizzato da StudioCanal e CNC-Centre national du cinéma et de l’image animée, presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna.

Un’anteprima per un restauro inizialmente selezionato per la sezione Cannes Classics del Festival di Cannes, che naturalmente non si è potuto tenere.

Interpretato da Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo, “Fino all’ultimo respiro appartiene, per sua natura, al genere di film in cui tutto è permesso”, scriveva lo stesso Godard nel 1962 sui “Cahiers du Cinéma”, la rivista in seno a cui è nata la Nouvelle Vague. “Qualsiasi cosa facessero i personaggi, poteva essere integrata al film. Era il punto stesso di partenza del film. Mi dicevo: c’è già stato Bresson, adesso c’è Hiroshima mon amour, si chiude un certo genere di cinema, forse è finito, mettiamo la parola fine, facciamo vedere che tutto è permesso. Quello che desideravo fare era partire da una storia convenzionale e rifare, ma in maniera diversa, tutto il cinema che era già stato fatto. Volevo anche dare l’impressione di scoprire o di sentire i procedimenti del cinema per la prima volta. L’apertura a iride serviva a far vedere che era permesso ritornare alle origini del cinema e la dissolvenza incrociata dava l’impressione d’essere stata appena inventata”.