Pochi sono i registi nella storia del cinema che trasudano assoluta dedizione per la settima arte, intesa come strumento di discernimento necessario e campo di battaglia dove far valere personali opinioni, anche le più rivoluzionarie ed estreme. Uno di questi è senza alcun dubbio, François Truffaut.

Molto, anzi moltissimo, nel tempo è stato scritto sul regista francese che mai si è sottratto a palesare personalissime punti di vista su praticamente tutto ciò che riguardasse la contemporaneità. Oggetto privilegiato delle dissertazioni e della vivisezione meticolosa è stato il mezzo cinematografico che, avallando e interiorizzando l’idea baziniana, avrebbe dovuto sempre più rappresentare la propria essenza, tramite l’ontologico ed intrinseco senso di realtà.

Il flusso comunicativo continuo, fatto di testimonianze, interviste e pubblicazioni, ha però contribuito ad una sovrabbondanza di scritti in cui perdersi è davvero facile. Considerando ciò, il libro Il Cinema di Truffaut di Paola Malanga (ed. Baldini+Castoldi) si pone come linea guida per scoprirne l’eclettica e spregiudicata personalità. A più di venticinque anni dalla prima uscita, la monografia torna disponibile in un’edizione rinnovata proprio nell’anno del novantesimo “compleanno” dell’autore. Un’opera a trecentosessanta gradi in cui viene ricostruito, tassello dopo tassello, ciò che è stato l’uomo e l’arista Truffaut in un dualismo oscillante tra finzione artistica e concretezza personale, politica e sociale.

Che fosse con la ferocia giovanile della penna in quei Cahiers du Cinéma, dove si sono poste le basi per lo scardinamento dell’odiato “cinéma de papà” in favore di una narrazione libera da stilemi granitici figli di una generazione oramai inconciliabile con l’indomabile desiderio di rinnovamento; o che fosse il creatore di evocativi e seducenti ritratti femminili coadiuvati alla raffigurazione umanizzata della mascolinità, Truffaut è stato attento osservatore delle sottili increspature dell’animo umano.

Autodidatta onnivoro e maniacale, spettatore bulimico, il regista si è contraddistinto per una forza di volontà instancabile nello sfruttare artisticamente il cinema, dando vita ad una filmografia variegata ed estremamente coerente.  Le esperienze personali e le sensazioni di un vissuto solitario e ruvido sono sempre state al servizio della narrazione, senza alcuna distinzione e sempre osservati con la lente d’ingrandimento, “proiettando le sue emozioni sul grande schermo e viceversa, guardando la realtà con gli occhi della finzione”. Un personaggio autentico e sfaccettato che Malanga aiuta a circoscrivere, grazie ad un uso dettagliatamente completo di tutti gli elementi necessari a descrivere un personaggio così eminente.

Il testo si divide in due sezioni distinte ma inevitabilmente legate. La prima è dedicata alla biografia: dalla scapestrata ed difficile infanzia alla giovinezza, tra l’amore per la celluloide e la letteratura, gli insegnamenti di Bazin e la militanza alla Cinémathèque di Henri Langlois fino a giungere all’età adulta più consapevole e riflessiva; un’evoluzione umana magnificamente raccontata dal “ciclo Antoine Doinel”, con l’alter-ego Jean Pierre Léaud, composto da cinque pellicole partendo da I Quattrocento Colpi (1959) fino a L’Amore Fugge (1978).  La seconda parte è invece dedicata all’analisi accurata e scrupolosa di tutti i film di Truffaut. Ogni dettaglio compositivo ed analitico è sviscerato, con l’intenzione di comprenderne i significati e far scaturire riflessioni e curiosità, sfidando il lettore a scovare citazioni e riferimenti ai sui tanto venerati mentori, che si tratti di Balzac o Hitchcock, non importa.

Una ricognizione che si muove su due filoni paralleli ma intersecati per comporre l’immagine di un’artista totale e del suo modo di respirare a pieni polmoni il cinema, nella ricerca spesso complessa di ‘coniugare le esigenze e le ambizioni dell’autore con il rispetto e la riconoscenza per un pubblico curioso e appassionato’. Perché amare Truffaut, trovando in lui ‘un compagno segreto per portare alla luce e far avverare anche i sogni che sembrano impossibili’, vuol dire ricordarsi che è sempre possibile ‘sottrarsi a destini decisi da altri – la società, gli algoritmi, il sistema del consenso, la logica del consumer – per scrivere la propria storia’.