Neppure Charlie Chaplin avrebbe potuto immaginare che dopo la sua scomparsa, avvenuta a Corsivier -sur- Vevey il 25 dicembre 1977, i restauri promossi dalla Cineteca di Bologna avrebbero rimesso in circolazione non solo le comiche degli inizi, ma anche tutti i lungometraggi, mentre sarebbe stata avviata la digitalizzazione delle carte del suo straordinario archivio personale.

Il mito di Charlot è fondamentale nella cultura cinematografica italiana perché coincide con la legittimazione estetica della nuova arte. Mentre i grandi quotidiani nazionali ancora non si occupano regolarmente dei film in uscita, in singolare controtendenza la “Gazzetta di Parma” del 15 aprile 1927 pubblica in prima pagina l’entusiastica recensione di La febbre dell’oro. Negli stessi giorni Attilio Bertolucci e Pietro Bianchi portano di peso Cesare Zavattini, caporedattore cultura del giornale, a vedere il film, avviando la conversione al cinema del futuro sceneggiatore del neorealismo.

Infografica realizzata da StampaPrint per il 40° anniversario della scomparsa di Charlie Chaplin
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Infografica realizzata da StampaPrint per il 40° anniversario della scomparsa di Charlie Chaplin
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Naturalmente il fenomeno non è solo italiano e dalle leggendarie proiezioni parigine dello Studio des Ursulines si irradia in tutto il mondo, suscitando le reazioni degli intellettuali, degli scrittori e dei cineasti. Sergej M. Ejzenstejn negli anni trenta scrive tra l’altro: “Non ci occuperemo della concezione del mondo di Chaplin, ma della sua percezione del mondo. Come vede quest’occhio, un occhio eccezionale, l’occhio di Chaplin? È in questo la sua grandezza. Vedere gli eventi più terribili, i più penosi, i più tragici con gli occhi di un bambino che ride”.

Il circo di Charlie Chaplin
Il circo di Charlie Chaplin
Il circo di Charlie Chaplin
Il circo di Charlie Chaplin

Se Glauco Viazzi in Chaplin e la critica nel 1955 censisce in un volumone di più di cinquecento pagine la fortuna critica dell’attore-autore, da allora gli interventi si sono talmente moltiplicati che a metterli in ordine si farebbe concorrenza all’elenco telefonico. Siamo ormai tutti d’accordo nel riconoscere il punto d’arrivo della ricerca storico-critica in Chaplin. La vita e l’arte di David Robinson, dove la vicenda biografica s’intreccia in modo impareggiabile alla ricostruzione titolo per titolo dell’opera. Ma continuano a venire in mente altri scritti che hanno lasciato il segno. Da quelli lucidissimi di André Bazin a quelli più occasionali di Roland Barthes su Tempi moderni e di Pier Paolo Pasolini dedicato alla gag. Su un altro piano voglio ricordare i labirintici metaromanzi di Osvaldo Soriano, di Stuart Kaminsky, di Daniel Pennac, in cui Charlot torna a rivivere come personaggio tra i personaggi.

Nel dicembre 1952 Chaplin è in Italia per presentare Luci della ribalta – la struggente rievocazione della storia di Calvero e di Terry sullo sfondo del music hall – e al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma tocca a Zavattini accoglierlo a nome del cinema italiano: “Tutti noi abbiamo considerato lei come nostro maestro. L’umile clown, come lei si è chiamato, lancia a noi del cinema una indicazione luminosa: che la sua gloria è figlia prima di tutto della coerenza”.

Articolo pubblicato sul numero 10 della Rivista del Cinematografo - dicembre 2017