UNA DONNA HA UCCISO

ITALIA 1951
Il cap. Roy Prescott, addetto all'amministrazione militare alleata, conosce a Napoli, dove risiede, una bella ragazza napoletana, Anna, alla quale fa una corte assidua. Roy è un esperto dongiovanni e la sua relazione con Anna non è per lui che un fuggevole episodio; mentre la ragazza è seriamente innamorata del capitano. Quando vien trasferito a Roma, Roy cerca di por fine alla relazione; ma Anna non sa rassegnarsi e finisce col raggiungerlo. Essa ormai fa vita comune con l'amato ufficiale; ma si vede da lui trascurata e concepisce dei sospetti, anche troppo fondati, sulla sua fedeltà. Un giorno che essa ha deciso di provocare una spiegazione, ha modo d'ascoltare una conversazione telefonica in cui Roy manifesta chiaramente il disgusto ch'ella gl'ispira. Ferita profondamente, Anna afferra la pistola del capitano e l'uccide. Arrestata e sottoposta a processo, essa viene condannata. Il racconto della triste vicenda si conclude con un accorato monito, volto a deprecare ogni vendetta, ogni violenza.
SCHEDA FILM

Regia: Vittorio Cottafavi

Attori: Frank Latimore - Cap. Roy Prescott, Umberto Spadaro - Padre Di Anna, Alexander Serbaroli - Larry, Vera Palumbo - Carla, Celesta Aida Zanchi, Diego Muni, Vincenzo Milazzo, Marika Rowsky, Pia De Doses, Lidia Cirillo, Lianella Carell - Anna

Soggetto: Lucio D'Attino

Sceneggiatura: Siro Angeli, Vittorio Cottafavi, Sergio Agostini, Giorgio Capitani

Fotografia: Bitto Albertini

Musiche: Renzo Rossellini

Scenografia: Ottavio Scotti

Durata: 97

Genere: DRAMMATICO

Produzione: NOVISSIMA FILM

Distribuzione: CINECID - REGIONALE

NOTE
AIUTO REGISTA: GIORGIO CAPITANI
CRITICA
"Cinema grosso, col cuore in mano, questo "Una donna ha ucciso". Ha diretto Vittorio Cottafavi, del quale ricordavamo un film non disprezabile, "I nostri sogni" (1943) (...). V'era dell'attenzione e un sorridente, bonario approfondimento del carattere dei personaggi. Qui, alle prese con il "fattaccio", tali cure sono neglette e il pressapochismo impera. Si salva nel conto finale una sola sequenza "di colore", per la sua fuggevole ma non equivoca intensità, quella serata al Club alleato (...). E' l'unico momento in cui il film abbandona la sua prosa da cronaca giudiziaria per un interessante intuizione umana (...)". (T. Ranieri, "Rassegna del Film", n. 13 dell' aprile 1953).