The Unknown Known: The Life and Times of Donald Rumsfeld

3/5
In Concorso il documentarista Errol Morris vs. il politico Donald Rumsfeld: chi la spunta? Ai punti vince...

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USA 2013
Intenso e sorprendente cine-ritratto di Donald Rumsfeld, ex segretario della Difesa degli Stati Uniti. Attraverso la sintesi di una lunga serie di interviste filmate e materiale attinto dal suo archivio privato, viene raccontata la carriera e lo straordinario ruolo che Rumsfeld ha avuto nella Storia americana, dall'epoca del Watergate fino alla guerra in Iraq e alla lotta al terrorismo.
SCHEDA FILM

Regia: Errol Morris

Attori: Donald Rumsfeld - Se stesso, Errol Morris - Se stesso, Kenn Medeiros - Donald Rumsfeld giovane

Fotografia: Robert Chappell

Musiche: Danny Elfman

Durata: 105

Colore: C

Genere: DOCUMENTARIO

Produzione: ERROL MORRIS E ROBERT FERNANDEZ PER HISTORY FILMS, MOXIE PICTURES, PARTICIPANT MEDIA, THE WEINSTEIN COMPANY

Distribuzione: I WONDER PICTURES (2014)

Data uscita: 2014-01-16

TRAILER
NOTE
- IN CONCORSO ALLA 70. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2013).
CRITICA
"Uno scontro di intelligenze, di volontà, di dialettiche dove nessuno vuole lasciare il campo all'altro... È quello che succede in 'The Unknown Known' tra Errol Morris e Donald Rumsfeld, regista il primo ex Segretario alla Difesa con Bush figlio il secondo, ma soprattutto paladini di due idee diverse se non opposte: convinto l'uomo di cinema che l'immagine possa rivelare l'anima delle cose (e delle persone) facendosi carico di una funzione maieutica capace di penetrare il reale; certo l'uomo di potere che le parole se usate con correttezza e precisione possano contribuire a «costruire» la realtà. Per dirla in formule, il medium è il messaggio anche per Rumsfeld. E ancora: il razionale è reale, non viceversa. Per questo il fascino del film, presentato (...) in concorso a Venezia (e ahimè dimenticato dalla giuria), (...) inizia nel momento del confronto stesso, nel vedere (e sentire) due concezioni così distanti della Conoscenza (e del Potere) e dei suoi grimaldelli che si scontrano a viso aperto. Da una parte Morris, seduto accanto alla macchina da presa, fuoricampo visivamente ma ben presente con la voce che domanda; dall'altra Rumsfeld, ripreso con un'inquadratura appena un po' più larga del primo piano, così da non nascondere l'eleganza formale dell'uomo e ricordare fin dalla giacca e dalla cravatta che lo stile è l'uomo (e viceversa). In mezzo, la forza e la debolezza della Parola. (...) Rumsfeld non accetta dubbi o ambiguità, e soprattutto non lascia niente al caso. E' il campione della razionalità. Sono passati anni da quando scrisse quei memorandum. In mezzo c'è stata una guerra finita all'opposto delle sue previsioni (oltre che delle sue speranze), ci sono state le sue dimissioni da Segretario alla Difesa, c'è stata la sconfitta del suo partito, ma le sue certezze non hanno mai vacillato. Le sue Parole non sono mai cambiate. Parte da qui il braccio di ferro che Morris ingaggia con Rumsfeld. Non può certo pensare di strappargli una confessione o un ripensamento (come gli era riuscito con il meno coriaceo McNamara nel precedente 'The Fog of War') e allora usa il cinema per quello che può fare di meglio: mostrare. Mostrare la faccia inalterabile di Rumsfeld, riprendere le sue certezze senza dubbi, registrare le sue parole senza sfumature. E ogni tanto ricordare allo spettatore che la realtà aveva preso un'altra strada, che non aveva «ubbidito» alle parole e ai memorandum del ministro. E' uno scontro impari, perché Rumsfeld sa usare le parole come pochi e non pensa neppure un attimo di doversi ricredere, contraddire o rimangiare qualche dichiarazione. Neppure il pantano politico in cui è precipitato l'Iraq dopo l'intervento armato americano gli fa sorgere dubbi retroattivi. Di una cosa sola non sembra tener conto, ed è l'arma in mano a Morris: la forza dell'evidenza cinematografica. Qui il genere documentario cambia pelle, si trasforma in un implacabile accusatore della persona che ha di fronte solo grazie all'evidenza delle immagini. Morris sa benissimo che non può cercare di far cadere in contraddizione un politico come Rumsfeld, troppo abituato a gestire il Potere per commettere qualche errore o soccombere di fronte alle trappole della dialettica: non è un ospite di «Porta a porta», è uno dei potenti della Terra! E allora il regista sceglie di lasciargli mano libera, gli concede la libertà di esprimersi quasi senza contraddittorio. Perché è in questo modo che le sue certezze possono ribaltarsi in altrettanti atti d'accusa. Non c'è bisogno di «togliergli la maschera». Basta filmare con paziente precisione la faccia che mostra per rivelare che è appunto una maschera. E che la Realtà è più forte delle sue Parole. Solo alla fine Rumsfeld sembra avere un ripensamento, quando non sa spiegare con la medesima razionalità le ragioni per cui ha accettato di farsi intervistare. Ma ormai è troppo tardi: il Cinema ha già dimostrato la forza delle sue immagini." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 15 gennaio 2014)

"Presentato in concorso all'ultima Mostra di Venezia, 'The Unknow Know' è quasi un sequel di 'The Fog of War - La guerra secondo Robert McNamara', con cui Errol Morris vinse l'Oscar per il documentario nel 2004. Sulla base dei promemoria dell'ex-segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld, il regista ne ripercorre la lunga carriera, soffermandosi in particolare sull'operazione Desert Storm, la guerra al terrorismo e l'intervento in Iraq. Morris utilizza materiali di archivio (a volte riciclati da altri suoi film), fotografie, tracce grafiche, registrazioni e quant'altro; senza aggiungere molto a quel che già sapevamo. La parte più interessante è il confronto diretto tra lui e Rumsfeld: una partita di gatto contro topo dove è difficile, però, distinguere chi sia il gatto e chi il topo. Giocatore smaliziato, dal sorriso fisso in una specie di 'rictus', l'ottantunenne 'falco' ripete le tesi di un tempo (le armi di distruzione di massa), dribbla le domande più scomode, padroneggia la retorica e ruba la scena a un Morris meno energico del solito." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 16 gennaio 2014)

"Nel 2003 con il mirabile documentario Oscar 'The Fog of War', Errol Morris aveva raccontato alcuni cruciali momenti di storia americana attraverso una lunga intervista a Robert S. McNamara, segretario alla Difesa sotto Kennedy e Johnson. Anche 'The Unknown Known', ritratto ravvicinato di Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa con Ford e Bush figlio, è di notevole interesse, ma Rumsfeld non è schietto quanto McNamara. Pur amabile, il grande artefice della guerra in Iraq non lascia trapelare nulla che non voglia, difendendosi da critiche e accuse con consumata capacità retorica. Confrontandolo a materiali di repertorio che ne contraddicono le affermazioni, il regista risponde a tono, però quel sornione di Rumsfeld sguscia con destrezza e alla fine la partita fra i due si chiuderebbe in pareggio, se non fosse che Morris ci ha fatto toccare con mano quanto può essere abile il Potere a manipolare la verità." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 16 gennaio 2014)

"Più che a un documentario preparatevi ad assistere a un braccio di ferro, quello tra il regista Errol Morris e Donald Rumsfeld, ex Segretario della difesa con George W. Bush e artefice della guerra in Iraq. Quest'ultimo ha accettato di rispondere alle domande del primo che lo incalza sui punti più controversi del suo operato a partire da alcuni dei 20mila promemoria scritti durante il suo mandato. Volto impassibile, sorriso enigmatico come quello dello Stregatto di 'Alice nel Paese delle Meraviglie', abilissimo oratore campione di evoluzioni retoriche e giochi di parole, Rumsfeld piega il verbo a suo piacimento senza ammettere mai un errore, senza contraddirsi o vacillare, con in tasca una spiegazione per tutto. Non aspettatevi che l'intervistatore metta all'angolo la vecchia volpe repubblicana. Le contraddizioni saltano fuori, e questa è la strategia vincente di Morris, solo dal confronto che lo spettatore stesso farà tra i funambolismi dialettici di uno degli uomini più potenti della Terra e la realtà dei fatti, capaci di rivelare una verità ben diversa." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 17 gennaio 2014)

"Il nuovo film di Morris, 'The Unknown Know', presentato in Concorso all'ultimo Festival di Venezia, prosegue in un ideale percorso di ritratti di uomini di potere americani che hanno segnato la Storia, non solo americana. Come Robert McNamara, anche Donald Rumsfeld è stato al centro delle leve del potere in un momento critico della politica estera degli Stati Uniti, e come il suo illustre predecessore, ha legato il suo nome a una guerra e a una strategia fallimentare, parliamo ovviamente della guerra in Iraq di Bush figlio, pervasa dalla famosa bugia sull'esistenza delle armi di distruzione di massa nascoste in qualche sito dal regime di Saddam. I due ritratti sono in qualche modo speculari, ma con qualche importante differenza. La prima è che Rumsfeld ha accettato di rilasciare l'intervista sapendo di parlare a un regista premio Oscar che è quasi riuscito a far capitolare il vecchio McNamara. Questa consapevolezza (quella del potere del documentario nel rilevare le persone) rappresenta la vertigine su cui si fonda questo straordinario duello tra Morris e Rumsfeld. Filmare il nemico è una delle prerogative del cinema documentario e Morris è tra i registi che più di ogni altro è riuscito a trasformare questa prerogativa in vero cinema (basta sfogliare la sua filmografia per capire di cosa stiamo parlando). Chi è e che cosa è il nemico? La risposta a questa domanda è rappresentata dal film stesso. Chiare e definite sono le posizioni iniziali, tutta da scoprire è la partita a scacchi. Apertura e riposta, mossa e contromossa, avanzamento e ripiegamento. E così, a furia di «giocare» e girare, può capitare che anche il più solido e consapevole dei testimoni, com'è Rusmfeld, possa cadere in errore, e non c'è niente di più spietato di una macchina da presa per cogliere anche la più piccola indecisione. I 100 e passa minuti del film, oltre ad essere un buon ripasso della recente storia americana, è anche un affascinante e sottile duello parallelo che forse non avrà vinti e vincitori, se non l'avverarsi della magia del cinema, anche quando è di parola. C'è un film di finzione, 'Frost/Nixon', che recentemente ha saputo rendere il senso del «filmare il nemico», e non a caso si tratta della ricostruzione di una storica intervista televisiva in cui Nixon consegna al giornalista Frost la verità sul suo mandato." (Dario Zonta, 'L'Unità', 23 novembre 2014)

"Chi si aspetta un «giudizio» definitivo sulla figura di Donald Rumsfeld rimarrà senz'altro deluso. 'The Unknown Known' in sala dopo la presentazione alla scorsa Mostra del cinema dove era in concorso, grazie alla Wonder Pictures, piccola ma efficacissima casa di distribuzione - nel suo catalogo c'è per esempio la rivelazione dell'anno, 'Stop the Pounding Heart' di Roberto Minervini (...) - non è infatti uno di quei film che ti mandano a casa contento, accarezzando le nostre convinzioni con ciò che si vuole sentire: che i cattivi sono cattivi e i buoni sono i buoni. Lo schema ideologico non appartiene per definizione al cinema di Errol Morris che, al contrario, costruisce le sue «investigazioni» in modo implacabilmente progressivo, utilizzando conflitti interni e invisibili, slittamento di senso, evidenze rimosse. Così il confronto con l'ex-segretario della Difesa americano, Donald Rumsfeld, fabbricante primario del teorema della guerra in Iraq si gioca sul filo (tagliente) della parola, e dei suoi significati; un piano duplice, che non è solo quello di «verità» e «menzogna», e punta invece alle tattiche manipolatorie di opinioni e pensiero collettivi. Rumsfeld è responsabile di migliaia di morti in Afghanistan e in Iraq ci dice in buona sostanza Morris, ma senza di lui la guerra ci sarebbe stata lo stesso. 'The Unknown Known', diviene dunque una riflessione sull'America, e su quella politica «culturale» sviluppata nelle logiche del potere, con al centro uno dei suoi protagonisti più influenti. Il regista utilizza nella sua indagine diversi elementi, soprattutto i «fiocchi di neve», i promemoria che a migliaia Rumsfeld lasciava «cadere» intorno a sé, in modo da direzionare le opinioni altrui. Questa centralità del linguaggio è evidente già dal titolo, che rimanda a una delle frasi sibilline con cui Rumsfeld ha cercato dall'inizio di motivare l'intervento in Iraq: «Ci sono cose che sappiamo, cose che non sappiamo, e cose che non sappiamo di sapere». Però alla domanda se l'amministrazione Bush era certa che Saddam avesse armi di distruzioni di massa, Rumsfeld allora come ora rimane muto. Ammicca, sorvola, si nasconde tra quelle parole che sa manovrare abilmente, e che in realtà fluttuano sul vuoto. Abilissimo istrione davanti alla macchina da presa, il sorriso che diviene ghigno inquietante nella determinazione da fedelissimo repubblicano, Rumsfeld è maestro nella tattica della sottrazione. Di fronte all'evidenza capovolge le sue stesse frasi, nessuno aveva mai unito Saddam a Osama replica alla domanda di Morris. (...) Siamo su un altro piano rispetto al precedente 'Fog of War', stavolta Morris non «inchioda» Rumsfeld come lì ha fatto con McNamara. Ma questo perché la partita si gioca altrove, e al di là di Rumsfeld. L'orizzonte dell'immagine è anche quel fuoricampo del potere in cui il movimento storico si ripete uguale a se stesso, e ogni lezione del passato rimane inascoltata. Abu Ghraib, Guantanamo che - osserva piccato Rumsfeld - è ancora nonostante le promesse di Obama. Non c'è tortura, afferma, eppure testimonianze e rapporti della Croce Rossa parlano di condizioni inumane e torture feroci. Anche questo è un «danno collaterale» naturalmente. Ma nessuna frase dell'ex-segretario, a dispetto della sua abilità, riesce a darne una spiegazione. Parole. Immagini. 'The Unknown Known' pone delle domande anche allo statuto del cinema come strumento di resistenza alla rimozione, o alla mancanza di immaginazione che governa il fare della politica. Non c'è nulla che glorifichi Rumsfeld, o che gli fornisca un minimo appiglio di calore nella messinscena gelida e essenziale di Morris. La scommessa è tutta in quel rapporto tra parola e immagine, nella costruzione di una faccia pubblica del potere e nel suo capovolgimento. Il mare di parole di carta a cui si appiglia Rumsfeld svanisce, schiacciato da una responsabilità che l'uomo Rumsfeld, a differenza di McNamara non prende neppure in considerazione l'errore nel suo caso non esiste, eppure è lì, davanti i nostri occhi, in ogni giravolta di quelle sue parole che nonostante gli sforzi verso il contrario, ci rivelano la propria verità. E con essa interrogano anche chi ascolta, media, informazione, opinione pubblica. La responsabilità diviene anche nostra, cosa che il troppo semplice gioco binario tende a assolvere." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 30 gennaio 2014)