Standard Operating Procedure

USA 2008
2004, carcere di Abu Ghraib, Baghdad. Un gruppo di soldati americani incaricati di fare la guardia ai prigionieri iracheni scattano dodici fotografie indecorose in cui sono ritratti alcuni carcerati in situazioni umilianti. Gli scatti fanno ben presto il giro del mondo sollevando questioni e dubbi sulla moralità dell'esercito americano. Il documentario analizza minuziosamente le immagini incriminate nel tentativo di comprendere i motivi che hanno mosso i protagonisti a compiere tali azioni e allo stesso tempo muove un'ulteriore denuncia sulla violazione dei diritti umani perpetrata ad Abu Ghraib.
SCHEDA FILM

Regia: Errol Morris

Attori: Joshua Feinman - MP Elliot, Cyrus King - MP Berryhill, Merry Grissom - Interrogatore, Shaun Russell - Agente dei servizi segreti militari, Zhubin Rahbar - Manadel al-Jamadi, Daniel Novy - Frederick, Combiz Shams - Detenuto iracheno, Sarah Denning - MP Harman, Christopher Bradley - MP Frost, Jeff Green - Mp Cathcart

Soggetto: Robert Chappell, Errol Morris

Fotografia: Robert Richardson

Montaggio: Andy Grieve

Costumi: Marina Draghici

Altri titoli:

S.O.P.: Standard Operating Procedure

Durata: 118

Colore: C

Genere: DOCUMENTARIO

Specifiche tecniche: 35 MM, CINEMASCOPE

Produzione: ERROL MORRIS E JULIE AHLBERG PER PARTICIPANT PRODUCTIONS, SONY PICTURES CLASSICS

NOTE
- ORSO D'ARGENTO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA AL 58MO FESTIVAL DI BERLINO (2008).
CRITICA
"Il film di Errol Morris, che già nel 2004 è stato premiato con un Oscar per suo documentario 'The Fog of War: La guerra secondo Robert Mc Namara', è costruito proprio attorno al ruolo svolto da queste immagini fotografiche nella complessa rielaborazione di ciò che veramente è accaduto nella prigione militare americana. (...) Quelle che raccontano nelle due ore di documentario sono storie da incubo: le continue umiliazioni dei detenuti, le percosse, gli interrogatori-tortura di semplici criminali e cittadini qualunque ritenuti erroneamente per terroristi, le continue urla, gli spari nel mezzo della notte." (Walter Rauhe, 'Il Messaggero', 13 febbraio 2008)

"Davanti alla macchina da presa di Morris che inquadra i soldati e le soldatesse incriminati con primi piani che
non si possono dimenticare, quelle domande continuano a non avere risposte. O meglio: trovano delle giustificazioni che finiscono per rendere ancora più tragici i fatti. Il comandante della prigione continua a cercare giustificazioni nella pressione subita dall'alto per avere informazioni dai prigionieri utili a trovare Saddam, le soldatesse ammettono che per sentirsi alla pari dei colleghi maschi dovevano dimostrare di essere cento volte più decise di loro e uno degli investigatori non sa dire di meglio che «qui come in Vietnam si è capito che non eravamo né salvatori né eroi». E alla fine, la burocratica distinzione tra le fotografie che costituivano «un atto criminale» e quelle che invece documentavano «una procedura operativa standard» fanno capire che quello shock sarà stato «archiviato» ma non certo elaborato. Come se la forza dei fatti commessi facesse ancora troppa paura. Agli investigatori militari, che sembrano nascondersi dietro le fredde categorie dei codici operativi, ma anche al regista che ricostruisce con attori ed effetti speciali alcune delle torture messe in atto ad Abu Ghraib. Come se non si fidasse dell'impatto della realtà e avesse bisogno di trasformare in spettacolo quello che le fotografie rendono con tutta la forza della loro intoccabile fissità." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 13 febbraio 2008)

"'Standard Operatine Procedure', il documentario che Errol Morris presenta in concorso a Berlino, non è solo una preziosa raccolta di testimonianze dirette sulla vicenda, ma anche una riflessione sul senso di ciò che il cinema ci fa vedere. (...) Duro come la materia di cui è fatto, 'Standard Operatine Procedure' turba e lascia sconcertati: tanto più quando ci ricorda che pochi sono stati i condannati e che, se le scene di abusi sessuali furono catalogate come 'atti criminali', quelle dei prigionieri nudi, torturati e sanguinanti vennero derubricate come SOP, 'Procedure operative standard'. Morris non ha montato tutto il materiale realizzato per il film; alcune sequenze scartate sono recuperabili su You Tube." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 13 febbraio 2008)

"'Standard Operation Procedure', più sinteticamente 'S.O.P.', è una testimonianza sconvolgente che prende spunto dalle famose foto che rivelarono le torture fisiche e psicologiche alle quali erano sottoposti i detenuti del famigerato carcere di Abu Ghraib." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 13 febbraio 2008)

"Autore del magnifico documentario-intervista con Robert McNamara 'Fog of the War', premiato con l'Oscar nel 2004, Errol Morris ha presentato 'Standard Operating Procedure', interviste ai reali militari statunitensi rei delle torture - fra 2003 e 2004 - nel carcere di Abu Ghraib, presso Bagdad, alle quali sono aggiunte brevi ricostruzioni di quanto - come una fucilazione in cella - non è stato ripreso da loro stessi. (...) Per il Paese che stipendia il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, il documentario di Morris suona come il classico 'da che pulpito vien la predica'. Per lo spettatore non giurista e non sadico, il film è invece monotono e ripetitivo: una cosa è ascoltare l'ex ministro della Difesa ed ex presidente della Banca mondiale McNamara su come ha fatto la storia, un'altra è ascoltare soldati qualsiasi, degni di 'Salò o le 120 giornate di Sodoma' di Pasolini." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 13 febbraio 2008)

"Morris tesse nel suo film le parti mancanti, stringe e allarga l'inquadratura, si infila negli interstizi delle sbarre, spia tra i frammenti delle immagini, ricostruisce, secondo il suo metodo di 'rimessa in scena espressionista', le azioni che nessuno ha visto. (...) Errol Morris nota nel suo film che tra le foto classificate nell'uno e nell'altro modo non c'è differenza. E se il regista avrà lo stesso successo di 'La sottile linea blu', che ha salvato dalla sedia elettrica un condannato a morte, 'Standard Operation Procedure' vincerà l'Oscar e farà incriminare per reati contro l'umanità il governo americano." (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 13 febbraio 2008)

"Per la prima volta, nel film di Errol Morris 'Standard Operating Procedure', parlano i soldati responsabili delle torture. Non per pentirsi o per chiedere perdono, ma semplicemente per raccontare che cosa li ha spinti in quel baratro di violenza. Sono facce di persone normali, donne e uomini, che spiegano di aver eseguito degli ordini e di aver sorriso davanti all'obiettivo solo perché gli veniva chiesto di farlo." (Fulvia Caprara, 'La Stampa', 13 febbraio 2008)