Segreti di famiglia

Louder Than Bombs

1.5/5
La micetta di Joachim Trier implode in Concorso: film bislacco e senza quid

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DANIMARCA 2015
Sono passati tre anni dalla morte di Isabelle Reed, famosa fotografa di Guerra. Sono tutti al lavoro per la preparazione di una mostra a lei dedicata. Questa occasione permette al marito Gene e ai figli Jonah e Conrad di trascorrere del tempo insieme, per la prima volta dopo molto tempo. Un segreto, però, tenuto troppo a lungo nascosto viene a galla e i tre sono costretti a fare i conti con le proprie vite e i propri desideri.
SCHEDA FILM

Regia: Joachim Trier

Attori: Isabelle Huppert - Isabelle, Gabriel Byrne - Gene, Jesse Eisenberg - Jonah, Amy Ryan - Hannah, Devin Druid - Conrad, David Strathairn - Richard, Rachel Brosnahan - Erin, Ruby Jerins - Melanie, Megan Ketch - Amy, Leslie Lyles, Russell Posner, Harry Ford, Sean Cullen, Venus Schultheis

Sceneggiatura: Eskil Vogt , Joachim Trier

Fotografia: Jakob Ihre

Musiche: Ola Fløttum

Montaggio: Olivier Bugge Coutté

Scenografia: Molly Hughes

Arredamento: Michelle Schluter-Ford

Costumi: Emma Potter

Effetti: Storyline Studios, Ghost VFX

Altri titoli:

Più forte delle bombe

Durata: 109

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: VISION RESEARCH PHANTOM FLEX4K

Produzione: MOTLYS, MEMENTO FILMS PRODUCTION, NIMBUS FILMS, IN ASSOCIAZIONE CON ANIMAL KINGDOM, BEACHSIDE FILMS, MEMENTO FILMS DISTRIBUTION, MEMENTO FILMS INTERNATIONAL, BONA FIDE PRODUCTIONS, REALIZZATO IN CO-PRODUZIONE CON ARTE FRANCE CINEMA, DON'T LOOK NOW

Distribuzione: TEODORA FILM (2016)

Data uscita: 2016-06-23

TRAILER
NOTE
- TRA I PRODUTTORI ESECUTIVI FIGURANO ANCHE JOACHIM TRIER ED ESKIL VOGT.

- IN CONCORSO AL 68. FESTIVAL DI CANNES (2015).
CRITICA
"Per coinvolgerci (...) il cineasta norvegese Joachim Trier, alla prima coproduzione internazionale e coadiuvato da un cast di volti noti, s'inventa un bel po' d'idee di regia, alternando i punti di vista dei tre uomini e caratterizzando i relativi segmenti di narrazione secondo repertori cinematografici diversi. Per intenderci, prendiamo ad esempio Conrad, il ragazzo. Le scene del film che lo vedono protagonista alludono al repertorio della commedia di high-school (...), mentre lo accompagnano immagini pop e di realtà virtuale; al contrario del padre, cui corrisponde una narrazione più posata e classica, da film psicologico, ma che esprime in modo differente la stessa sofferenza per la perdita di Isabelle. La cosa è interessante, benché il regista non riesca a controllarla fino in fondo (l'epilogo delude un po'), perché si affida a strumenti linguistici anziché alla retorica dei sentimenti sempre in agguato in questi casi. La contaminazione di formati e definizioni d'immagine diverse (dal reportage al computer, dalle inquadrature accurate al videogame) dinamizza lo svolgersi di eventi che, altrimenti, potevano risultare troppo interiorizzati e intimi. Frattanto 'Segreti di famiglia' non si nega ambiguità mutuate da Michelangelo Antonioni: vedi il tentativo (vano) di penetrare quel che si cela dietro una fotografia, come in 'Blow Up', o l'incomprensibilità della figura femminile (come in 'Identificazione di una donna'). E qui si capisce che cosa possa aver affascinato la Huppert nel personaggio della sua omonima Isabelle, convincendola a interpretarne la parte." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 23 giugno 2016)

"(...) primo film "internazionale", per cast e ambientazione, del norvegese Joachim Trier, 40 anni, un talento indiscutibile per i semitoni e qualche problema semmai a gestire una trama così complessa e ricca di non detto che a trattarla sempre 'sottovoce' un po' ci si smarrisce. Per quasi metà film infatti il regista gira e rigira intorno ai personaggi e alle loro ambiguità senza mai farci capire qual è il vero centro del film, né trasformare davvero questa voluta opacità in stile o materia di racconto. Certo, è una storia di famiglia, anche se è una di quelle famiglie un po' informi in cui nessuno coincide fino in fondo col proprio ruolo. (...) Dopo mille cambiamenti di stile e punti di vista, finalmente ci concentriamo su Kevin, l'adolescente mina vagante (...). In una delle scene miglioori del film, il padre cerca di stabilire un contatto più ravvicinato entrando senza dichiararlo in un videogioco di ruolo... È tardi per appassionarci ma il lento ritrovarsi dei due fratelli, la progressiva scoperta dei tesori di sensibilità e immaginazione che nasconde quell'adolescente scontroso, lasciano indovinare un bel film. Nascosto da una quantità per una volta eccessiva di pudori, false piste, sottigliezze, reticenze." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 23 giugno 2016)

"Trier, tre titoli in dieci anni, cerca un ancoraggio nella tradizione del melodramma scandinavo, ma «Segreti di famiglia» si sfalda in corso di visione a causa della sua pretensione. (...) L'andatura sembra ispirarsi a un aggiornamento, già praticato da colleghi come la Bier, dei procedimenti dell'«école du regard», con un gran vorticare di frammenti - pensieri ad alta voce, video vintage, flash proustiani, stralci di ricerche online - che però finiscono schiacciati da uno stile che si pretende superiore alle troppe sfumature liricizzanti; né aiutano l'autore nel senso della brillantezza gli scontati colpi di scena postumi (...). Altalenanti anche le rese degli interpreti, con una Huppert al minimo sindacale, Byrne solo affettato e Eisenberg che si batte con un'applicazione inversamente proporzionale alla consistenza drammaturgica." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 23 giugno 2016)

"Primo film Usa del regista norvegese Joachim Trier (...) è realizzato con tecnica che potremmo definire cubista: nel senso che disegna il quadro di un interno di famiglia spezzato in seguito alla scomparsa dell'unico elemento femminile, Isabelle Huppert (...) troppo assente e troppo amata dai suoi uomini (...). Di questi esseri in crisi che non riescono a trovare la via di un dialogo, il film va a ricomporre il ritratto, scavando nel rimosso, nel disatteso; e giocando su continui slittamenti di prospettiva. (...) Ma per quanto la scelta di stile di Trier abbia un indubbio interesse, tanta frammentarietà penalizza il risultato, lasciando irrisolti i caratteri e impedendo al dramma di accendersi come potrebbe e dovrebbe." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 23 giugno 2016)

"Piacerà a patto che non vi accostiate al film come al solito melodramma sul rimpianto (o il rifiuto) del tempo perduto. Joachim Trier si dimostra invece piccolo maestro delle sfumature, delle suggestioni che arrivano a tradimento dalla nebbia dei ricordi." (Giorgio Carbone, 'Libero', 23 giugno 2016)

"Passabile melò, che scava nell'intimità di una famiglia sconvolta da una drammatica scomparsa. (...) Un film un po' verboso, che avanza tra i flashback e personaggi mesti, oltre che sleali in amore. Tutti, eccetto uno." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 23 giugno 2016)

"L'America che il regista norvegese sceglie è quella di una «periferia» benestante di adolescenti sbronzi alle feste, riti crudeli del college, casette con prato e bandiera in giardino in fondo ben sintonizzati a quel nodo di silenzi, rancori, bugie che stringe i tre protagonisti (...). Trier nonostante la caratterizzazione della figura di Huppert (...) rifiuta l'idea di un film «a tema», che ragioni sulla sua professione, dunque il giornalismo, l'informazione e il suo rapporto con le immagini, con quanto documenta oggi, in anni «embedded». E nemmeno cerca di entrare nel disorientamento personale, nella confusione del contemporaneo. La fotografa e la sua solitudine si confondono con la figura materna, i disagi adolescenziali, la paura di crescere, la nevrosi maschile. Tutto però scivola in un flusso, nelle immagini fin troppo eleganti, da sfiorare l'accademismo, che procedono per accumulo e non conoscono sorprese né tantomeno permettono l'irruzione di una qualsiasi stravaganza. La fatica di vivere somiglia a un catalogo di narrativo, e la bomba così forte non esplode mai." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 24 giugno 2016)